La miseria che
abbiamo dimenticato
Le interviste sono precedute da un saggio introduttivo un po' autoreferenziale, un po'
prolisso e forse a tratti stucchevole. Intento a parlare di una terra che fu povera e
seppe rialzarsi, di un tempo di miseria quando, come notava Sergio Saviane, si metteva
in "tecia tutto quello che respirava, anche le
mosche".
Lorenzetto non lo cita ma l'intero nord est negli anni Cinquanta e Sessanta fu la zona
depressa del centro nord, luogo di processi migratori e oggetto di leggi speciali, quindi
di un clima economico non molto dissimile da quello del sud d'Italia.
Ora tutto è cambiato. Lo sviluppo, la nuova ricchezza è lì testimoniato dalla casa
dello scrittore dove (la discreta eleganza d'espressione è sua) "ci sono cinque bagni,
una casa che conta più water che culi".Lorenzetto ritorna sull'immagine veneta dei
"luogo comunisti" degli anni Cinquanta, di una regione povera alla ricerca di sovvenzioni,
che viveva soprattutto delle rimesse degli emigranti, affumicata tra i veleni di Porto
Marghera.
Oggi gli eredi dei medesimi "luogo comunisti" gridano al razzismo, ogni qual volta
qualche leghista esuberante porta "un qualche striscione imbecille allo stadio" o
scrive qualche idiozia sui viadotti
autostradali.
Come si diceva le venticinque interviste restituiscono venticinque veneti non comuni,
che nel loro insieme restituiscono un'immagine coerente dei veneti.
Uomini "che mugugnano, ma sgobbano, che protestano contro la rapacità dello Stato ma
pagano le tasse, che sognano l'indipendenza, ma non si appellano mai a vallate in armi,
che si dimostrano sospettosi con gli stranieri, ma ne accolgono più di qualsiasi altra
regione d'Italia, dopo la Lombardia".
I personaggi da
Cacciari a Tinto Bras
Il libro è un almanacco, un caleidoscopio di umanità veneta. Vi si trovano i personaggi più
vari. Ranieri da Mosto, partigiano azionista, giornalista Rai in pensione, è soprattutto erede
di una delle famiglie patrizie più antiche di Venezia. Leghista della prima ora, in quanto
indipendentista veneziano, nel 1996 offrì il proprio palazzo o meglio una sua ala alla Lega Nord
come sede del Parlamento del nord. Allora erano gli anni della "secessione" e del dio Po.
Oggi protesta, Venezia è una Disneyland anonimizzata dal Pci, che l'ha svuotata da dentro e
riempita di turisti.
Di Cacciari ricorda "sono stato in consiglio comunale cinque anni con lui, se la prendeva
con i suoi dandogli dei cretini in aula. È l'unico che potrebbe fare il segretario del
Partito democratico, non quei menarrosti di Bersani, D'Alema e Veltroni".
Ed ecco Flavio Contin che il 9 maggio 1997 guidò, in nome dell'autonomia veneta,
i Serenissimi nello sbarco in piazza San Marco e nell'occupazione "militare"
del Campanile di San
Marco.
Un salto ed ecco Carla Corso, veronese d'origine e pordenonese d'adozione.
Fondatrice e presidente del Comitato di difesa delle prostitute. Prostituta orgogliosa
anch'ella, il Comune di Pordenone fu a un passo dal nominarla cittadina onoraria.
Stelvio Costantini, il più anziano dei gondolieri, è favorevole alle paratie mobili del Mose
a difesa dall'acqua alta ancora in costruzione dopo trent'anni di chiacchiere. "Paratie che
solo 200 fanfaroni verdi non vogliono".La Permasteelisa occupa 4.500 dipendenti ha sedi in
Cina in Usa, è specializzata nella costruzione di facciate di vetro a nastro sui grandi edifici.
È stata fondata da Massimo Colomban, "il sarto dei Grattaceli" perché la sua specialità era
cucirgli addosso vestiti di vetro e metallo. Arrivato a 2mila miliardi in vecchie lire di
fatturato Colomban ha regalato l'impresa ai manager per ritirarsi a vivere nel castello
di Cison di Valmarino, dalle parti di Vittorio Veneto. Ora quando Tado Ando telefona
in ditta chiedendo "Where is Massimo?" Non sanno come
rispondere.
Ora veniamo ad Angelo Bonfanti, settant'anni, già direttore personale della multinazionale Osram.
Oggi dirige una cooperativa di disabili. Spiega: "Il volontariato non è roba per preti o per la
sinistra. Io non sono un parroco. Non voglio fare del bene, voglio fare
impresa".
Non poteva mancare Tinto Brass che rivaluta e vorrebbe ripristinata la "civilissima funzione
che nella Repubblica Veneta era svolta dal cicisbeo. Il cicisbeo si prendeva cura della signora a
teatro, come a letto, con piena soddisfazione del marito, sollevato, così, da troppi
gravami".
Tinto ricorda, con rammarico, di un film in cui voleva scritturare Giovanni Agnelli e Monica
Lewinsky. Ed ecco Fulvio Roiter, classe 1926, che è per antonomasia il fotografo di Venezia.
Lorenzetto di lui nota: "ha fatto di più per Venezia lui che Enrico Dandolo, Thomas Mann e
Peggy Guggenheim messi
insieme".
Il libro riflette sui veneti d'oggi con lo strumento dell'intervista in un lessico familiare,
a volte pronunciato in una lingua dialettale. Pezzi di vita, talvolta apparentemente eccentrici,
che invece restituiscono protagonisti seri e concreti.
Sotto traccia Lorenzetto mantiene uno sguardo complice e de-drammatizzante che, ad esempio,
è restituito nelle note leggere di cui si fanno protagonisti, con singolare sintonia,
Brass e Roiter. I due artisti. Ecco al proverbio "arsenalotto" di Tinto Brass - "I peccati di mona Dio li perdona" - seguire un racconto di Roiter; alla nobildonna patrizia Tron venire rinfacciato, a proposito dell'affitto del palco alla Fenice, "brava la Trona! Che la vende el palco più caro della mona" e ecco la Tron rispondere facendo affiggere sul retropalco una risposta lapidaria: "La Trona la mona la dona".
FAUSTO ORZES
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