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Stefano Lorenzetto
Cuor di Veneto
Autonomia di un popolo che fu Nazione

Interprete e recensore Fausto Orzes

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Le televisioni trasmettono le immagini di un Veneto alluvionato e ritornano alla memoria le alluvioni del Po degli anni Cinquanta. Alluvioni improvvise e catastrofiche che in qualche modo entrarono nell'immaginario nazionale, anche con il successo dei film di Don Camillo. Nelle librerie, invece, si torna a parlare di veneti con il libro d'interviste "Cuor di veneto. Autonomia di un popolo che fu nazione" di Stefano Lorenzetto (Marsilio Editore).
Un libro sui veneti scritto da un ottimo giornalista, che tiene a presentarsi anch'egli come veneto. Si tratta di venticinque interviste a protagonisti diversi tra loro per professione e sentire, spesso atipici o talvolta non comuni. Dal frullato di personaggi non quotidiani esce una chiave che consente di leggere in modo indiretto una certa immagine della quotidianità del Veneto d'oggi. 

 

La miseria che abbiamo dimenticato


Le interviste sono precedute da un saggio introduttivo un po' autoreferenziale, un po' prolisso e forse a tratti stucchevole. Intento a parlare di una terra che fu povera e seppe rialzarsi, di un tempo di miseria quando, come notava Sergio Saviane, si metteva in "tecia tutto quello che respirava, anche le mosche".
Lorenzetto non lo cita ma l'intero nord est negli anni Cinquanta e Sessanta fu la zona depressa del centro nord, luogo di processi migratori e oggetto di leggi speciali, quindi di un clima economico non molto dissimile da quello del sud d'Italia. 
Ora tutto è cambiato. Lo sviluppo, la nuova ricchezza è lì testimoniato dalla casa dello scrittore dove (la discreta eleganza d'espressione è sua) "ci sono cinque bagni, una casa che conta più water che culi".Lorenzetto ritorna sull'immagine veneta dei "luogo comunisti" degli anni Cinquanta, di una regione povera alla ricerca di sovvenzioni, che viveva soprattutto delle rimesse degli emigranti, affumicata tra i veleni di Porto Marghera. 
Oggi gli eredi dei medesimi "luogo comunisti" gridano al razzismo, ogni qual volta qualche leghista esuberante porta "un qualche striscione imbecille allo stadio" o scrive qualche idiozia sui viadotti autostradali.
Come si diceva le venticinque interviste restituiscono venticinque veneti non comuni, che nel loro insieme restituiscono un'immagine coerente dei veneti. 
Uomini "che mugugnano, ma sgobbano, che protestano contro la rapacità dello Stato ma pagano le tasse, che sognano l'indipendenza, ma non si appellano mai a vallate in armi, che si dimostrano sospettosi con gli stranieri, ma ne accolgono più di qualsiasi altra regione d'Italia, dopo la Lombardia". 

I personaggi da Cacciari a Tinto Bras

Il libro è un almanacco, un caleidoscopio di umanità veneta. Vi si trovano i personaggi più vari. Ranieri da Mosto, partigiano azionista, giornalista Rai in pensione, è soprattutto erede di una delle famiglie patrizie più antiche di Venezia. Leghista della prima ora, in quanto indipendentista veneziano, nel 1996 offrì il proprio palazzo o meglio una sua ala alla Lega Nord come sede del Parlamento del nord. Allora erano gli anni della "secessione" e del dio Po. Oggi protesta, Venezia è una Disneyland anonimizzata dal Pci, che l'ha svuotata da dentro e riempita di turisti. 

Di Cacciari ricorda "sono stato in consiglio comunale cinque anni con lui, se la prendeva con i suoi dandogli dei cretini in aula. È l'unico che potrebbe fare il segretario del Partito democratico, non quei menarrosti di Bersani, D'Alema e Veltroni". Ed ecco Flavio Contin che il 9 maggio 1997 guidò, in nome dell'autonomia veneta, i Serenissimi nello sbarco in piazza San Marco e nell'occupazione "militare" del Campanile di San Marco.
Un salto ed ecco Carla Corso, veronese d'origine e pordenonese d'adozione. Fondatrice e presidente del Comitato di difesa delle prostitute. Prostituta orgogliosa anch'ella, il Comune di Pordenone fu a un passo dal nominarla cittadina onoraria. Stelvio Costantini, il più anziano dei gondolieri, è favorevole alle paratie mobili del Mose a difesa dall'acqua alta ancora in costruzione dopo trent'anni di chiacchiere. "Paratie che solo 200 fanfaroni verdi non vogliono".La Permasteelisa occupa 4.500 dipendenti ha sedi in Cina in Usa, è specializzata nella costruzione di facciate di vetro a nastro sui grandi edifici. È stata fondata da Massimo Colomban, "il sarto dei Grattaceli" perché la sua specialità era cucirgli addosso vestiti di vetro e metallo. Arrivato a 2mila miliardi in vecchie lire di fatturato Colomban ha regalato l'impresa ai manager per ritirarsi a vivere nel castello di Cison di Valmarino, dalle parti di Vittorio Veneto. Ora quando Tado Ando telefona in ditta chiedendo "Where is Massimo?" Non sanno come rispondere.
Ora veniamo ad Angelo Bonfanti, settant'anni, già direttore personale della multinazionale Osram. Oggi dirige una cooperativa di disabili. Spiega: "Il volontariato non è roba per preti o per la sinistra. Io non sono un parroco. Non voglio fare del bene, voglio fare impresa".
Non poteva mancare Tinto Brass che rivaluta e vorrebbe ripristinata la "civilissima funzione che nella Repubblica Veneta era svolta dal cicisbeo. Il cicisbeo si prendeva cura della signora a teatro, come a letto, con piena soddisfazione del marito, sollevato, così, da troppi gravami". 
Tinto ricorda, con rammarico, di un film in cui voleva scritturare Giovanni Agnelli e Monica Lewinsky. Ed ecco Fulvio Roiter, classe 1926, che è per antonomasia il fotografo di Venezia. Lorenzetto di lui nota: "ha fatto di più per Venezia lui che Enrico Dandolo, Thomas Mann e Peggy Guggenheim messi insieme".
Il libro riflette sui veneti d'oggi con lo strumento dell'intervista in un lessico familiare, a volte pronunciato in una lingua dialettale. Pezzi di vita, talvolta apparentemente eccentrici, che invece restituiscono protagonisti seri e concreti. 
Sotto traccia Lorenzetto mantiene uno sguardo complice e de-drammatizzante che, ad esempio, è restituito nelle note leggere di cui si fanno protagonisti, con singolare sintonia, Brass e Roiter. I due artisti. Ecco al proverbio "arsenalotto" di Tinto Brass - "I peccati di mona Dio li perdona" - seguire un racconto di Roiter; alla nobildonna patrizia Tron venire rinfacciato, a proposito dell'affitto del palco alla Fenice, "brava la Trona! Che la vende el palco più caro della mona" e ecco la Tron rispondere facendo affiggere sul retropalco una risposta lapidaria: "La Trona la mona la dona". 
FAUSTO ORZES
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