Con l’avvento dell’U.E. le Alpi sono diventate il
cuore dell’Europa e riscoprono una centralità geografica che le
carica di nuova attenzione. Siamo in presenza di un territorio speciale,
caratterizzato da ampi spazi naturali e particolarmente sensibile sia in
termini ambientali che antropici. Il luogo, in montagna più che
altrove, assume importanza come memoria e testimonianza di epoche
passate, per la popolazione che lo abita e, in quanto risorsa ambientale
e turistica, per le genti di città e pianura alle quali il luogo viene
di fatto in parte riservato.
Considerato che il luogo è un concetto legato alle
culture dei gruppi sociali da un rapporto di necessità, merita
riflettere su come in montagna il processo di adattamento tra un
individuo, un gruppo ed un luogo sia una costruzione di una complessità
affascinante ma nello stesso tempo molto fragile.
Per chi opera in montagna, dove la sensorialità
spaziale continua a rivestire un ruolo importante, risulta fondamentale fare
mente locale che come scrive Franco La Cecla nel libro Mente
Locale - Per un’antropologia dell’abitare1 è "depositare
la propria mente su di un luogo, è una immagine dove non si vede solo
il soggetto che si sforza di mettere a fuoco, stringendo gli occhi, ma
dove il soggetto esteriorizza e si guarda mentre mette le proprie doti
di comprensione sopra ad un luogo e ad un contesto".
Le fragilità del territorio e dei processi di
ambientamento, le difficoltà per chi vive in montagna nel costruire uno
spazio interno che faccia da mappa di riferimento di ulteriori
acquisizioni, impongono, in questi luoghi, la necessità di evitare
fratture tra il vecchio ed il nuovo.
L’introduzione
di elementi presi da altre realtà dovrà sottostare ad attente
valutazioni contestuali, anche se questo non significa mettere
in atto dispositivi esagerati di tutela del luogo fisico, né di
tessere elogi del buon selvaggio e del diritto locale all’isolamento
ed alla intangibilità.
Adolf Loos, antesignano
della lotta contro l’ornamento, in un suo scritto si chiede
come mai tra la casa di un contadino su di un lago e la casa
fatta da un architetto, la casa del contadino non deturpi il
lago anzi sia "già li", faccia parte del
paesaggio, mentre la seconda sia spesso un’intrusa. |
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La ragione principale consiste che la prima nasce da
una necessità interna, è soltanto una casa ed il tetto è il tetto non
il tetto in uno stile piuttosto che in un altro2. Per chi
opera in montagna risulterà condizione indispensabile partire dall’esistente,
dalla complessa topografia del territorio, da come si è sviluppata una
realtà manifestando bisogni, gusti, attitudini, contatti sociali, per
valutare attentamente i processi in cui spesso vengono preservate
tradizioni e consuetudini, ma altrettanto spesso i cambiamenti avvengono
con velocità repentina.
Risulterà fondamentale analizzare le diverse facce
che la montagna presenta, evidenziare le profonde diversità
socio-economiche presenti non solo tra insediamenti di versante e fondo
valle, ma anche tra zone montane svantaggiate (montagna povera) e zone
montane non svantaggiate per le quali, il primo elemento discriminante,
è rappresentato dallo sviluppo turistico. In montagna marginalità e
sviluppo coesistono e spesso sono ragione una dell’altro sia in
termini territoriali che di processi economici.
Geografia dell’architettura
Anche per l’architettura vanno evidenziate
rilevanti differenze tra le caratteristiche dei diversi luoghi al punto
che, l’Arch. Sergio Los, in un suo intervento dal titolo Geografia
dell’architettura all’interno del volume Costruire in
montagna secondo qualità3 realizzato dalla Camera di
Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Belluno nell’ambito
del progetto Interreg IIIA Italia – Austria scrive: "la
geografia dell’architettura sarebbe molto più adatta della storia per
comprendere come costruire in montagna".
Chiunque osservi dall’alto un insediamento nota la
differenza tra la città antica e le sue periferie. Nelle periferie gli
edifici sono trattati come oggetti indifferenti al luogo, quasi fossero
cose mobili parcheggiate per un periodo più o meno lungo, con il
risultato che non producono città. Manca il necessario radicamento,
cosicché nei nostri giorni mentre da un lato assistiamo ad un continuo
miglioramento dei vari prodotti
dell’industrializzazione, dall’altro
assistiamo in generale all’impoverimento della qualità delle nostre
periferie. Per affermare in sostanza che, se questo atteggiamento è
poco sopportabile nelle realtà diffuse di pianura, diventa addirittura
grottesco quando ci troviamo ad operare in montagna, dove la
complessità topografica mette in evidenza tutte le contraddizioni di
soluzioni predeterminate.
Tanto a dire che per la manutenzione e lo
sviluppo della montagna l’artigianato, con la flessibilità
che lo caratterizza, si presta meglio a fornire prodotti di
qualità rispetto all’industria con il suo impatto ambientale
e le rigidità che la contraddistinguono.
Sempre Sergio Los con Natascha F. Pulitzer,
in uno studio svolto per il Servizio Energia della Provincia
autonoma di Trento, distinguono le varie aree di montagna in tre
tipi: aree di fondovalle che possono avere due orientamenti
principali: asse in direzione nord-sud e asse in direzione
est-ovest, aree dei versanti che possono avere quattro
orientamenti:sud, est, nord e ovest, aree degli altipiani che,
essendo in sommità, non hanno orientamenti preferenziali.
Da questa suddivisione vengono
individuati sette diversi ambiti, che sono climatici e
topografici, nei quali viene proposto un sistema di lettura
degli edifici che, senza fermarsi alle sole forme degli elementi
superficiali, consente di comprendere i contenuti ed usarli. |
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La guida che è pubblicata con il titolo I
caratteri ambientali dell’architettura, guida alla progettazione
sostenibile in Trentino4 evidenzia che la valorizzazione
delle tradizioni dell’architettura di montagna e dell’identità
culturale locale, quando non si limita alla sola imitazione
scenografica, risulta assolutamente in sintonia con lo sviluppo di un
progetto sostenibile per la montagna, funzionale sia al miglioramento
della qualità ambientale che al contenimento del fabbisogno energetico.
Pur con molteplici punti di vista possiamo affermare
che in generale la cultura architettonica si sia interessata alla
montagna sviluppando, diversamente che in pianura, sensibilità
maggiormente radicate alle realtà dei luoghi.
Per il terzo Convegno di Architettura Montana del
1954 Carlo Mollino in Tabù e tradizione nella costruzione montana5
scrive "Ancora oggi volontà e disposizioni più o meno
apertamente auspicano la costruzione montana informata al folklore e al
mimetismo del paesaggio.
Sono decisamente contrario a queste istanze nate
con il gusto romantico in uno con quello sempre vivo dell’eclettismo.Volere
un’architettura folkloristica vuol dire ripetere un modo che gli
stessi costruttori di baite, gli stessi maestri artigiani che col legno
e con la pietra costruiscono autentiche architetture, oggi non
vorrebbero più accettare. A questo proposito non è affatto da
approvare l’imposizione o l’invito a inserire elementi formalmente
tradizionali per iniziativa di quegli enti o commissioni che
sovraintendono "supervisionano" le nuove costruzioni montane.
Questo invito al folklore, pur nato con la
lodevole intenzione di evitare il peggio, sfocalizza gli elementi vitali
della costruzione e tronca proprio un processo storico costruttivo che
altro non è che quella tradizione che si vuole giustamente salvare……
Oggi imitare forme e adombrare strutture di
antiche costruzioni nate da possibilità materiali e particolari
destinazioni, ora scomparse o mutate, equivale a costruire la
scenografia di una realtà inesistente, uscire , anziché inserirsi,
nella tradizione…….
Le nuove costruzioni montane debbono avere un’autonomia
e una sincerità propria che tragga la sua ragione d’essere da una
completa visione di un problema attuale del costruire in montagna.
Occorre affrancare le nuove case da sovrapposizioni artificiosamente e
astrattamente imposte dal superficiale sentimento di conservare il
"colore locale della zona" e che in definitiva si riduce alla
apparente riproduzione di tecniche oggi irripetibili".
A distanza di sessant'anni quanto scritto da
Carlo Mollino, contro la tentazione verso il folklore,
risulta assolutamente attuale, anche se è fin troppo facile
verificare come i progettisti, soprattutto negli scorsi decenni,
abbiano spesso imboccato, con l’alibi di compiacere il
desiderio di committenti sia privati che pubblici, la
scorciatoia del recupero delle soluzioni formali piuttosto che
delle motivazioni profonde.
All’interno della nostra riflessione
risulta invece evidente come l’idea di contemporaneità alpina
unisca assieme architetture non in nome di una comunanza
stilistica e formale, ma della relazione con le medesime
problematiche e con i molteplici fattori che sottostanno alle
ipotesi progettuali.
Su tali tematiche, lungi dall’essere
esaustivo, vorrei solo accennare brevemente a due esperienze. |
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La prima riguarda proprio le montagne dolomitiche
dove, a Corte di Cadore, l’architetto Edoardo Gellner si confronta, tra
il 1954 e il 1963, con la costruzione di un villaggio per vacanze
commissionato dall’ENI di Enrico Mattei. Il villaggio risulta composto
da numerose unità abitative raggruppate in quattro nuclei, due
alberghi, la chiesa Nostra Signora del Cadore progettata con Carlo
Scarpa, una colonia , un campeggio, gli impianti sportivi e una serie di
edifici di servizio.
Si tratta di un intervento ad ampia scala, dove il
ragionamento, più che sul singolo oggetto, assume valore in senso
urbanistico e paesaggistico. Il villaggio sorge su un versante arido e
ghiaioso alle pendici dell’Antelao, dove, per le sfavorevoli
condizioni del terreno allo svolgimento di qualsiasi attività agricola,
non si era mai sviluppato nessun insediamento.
La disposizione degli edifici è stata studiata in
relazione a più fattori: lo sviluppo lungo le infrastrutture connettive
delle unità abitative, con il posizionamento dei servizi al centro, lo
studio dell’orientamento solare, dell’esposizione al vento e della
morfologia del terreno che viene lasciata pressoché inalterata, in
quanto gli edifici, sollevandosi su setti portanti, non modificano la
continuità del pendio.
Il villaggio viene concepito come una realtà
unitaria e separata dagli insediamenti circostanti, il dialogo con il
luogo consiste in questo caso nel sapiente inserimento dell’intervento
nel paesaggio naturale piuttosto che nei caratteri formali utilizzati.
Anche se mi preme far osservare come, anche nel linguaggio
architettonico utilizzato per i singoli edifici, che si dissocia
totalmente da uno stile pittoresco, siano presenti la sapienza
costruttiva degli antichi artigiani delle Alpi e le ragioni che hanno
generato alcune forme e non altre.
La seconda, più
vicina ai nostri giorni, riguarda invece il Premio
Internazionale Architettura contemporanea alpina, istituito nel
1992, a Sesto, in Alto Adige, dall’associazione Sesto Cultura,
con lo scopo di premiare i migliori risultati nell’ambito dell’architettura
alpina e di fare il punto sul dibattito teorico sul tema. In
occasione del Premio, che conta già quattro edizioni
(1992-1995-1999-2006), sono stati pubblicati anche quattro
cataloghi, in particolare i testi del 1999 e del 2006 hanno
ricevuto anche riconoscimento in campo editoria le. |
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Nel catalogo del 1999 l’Arch. Christoph Mayr
Fingerle scrive: "Il premio di architettura intende essere, più
che una mera sequenza di progetti straordinari, un processo di ricerca
continua, un’indagine sull’architettura alpina all’interno di un
dibattito tra tradizione rustica e un’interpretazione contemporanea
sullo sfondo della crescente minaccia che la forte espansione turistica
rappresenta per la regione alpina.
A prescindere da certe tendenze che mirano a
trasformare le Alpi in una sorta di Disneyland folcloristica, in un
centro per il tempo libero o in un parco per divertimenti, si tratta di
avviare una comprensione moderna, di definire una nuova autenticità al
di là stereotipi formali o di messe in scena teatrali."6
Tra le innumerevoli realizzazioni segnalate nelle
quattro edizioni volevo evidenziare l’importanza assegnata nell’edizione
del 1999 agli interventi dell’arch. svizzero Gion Caminada nel paese
di Vrin. Trovo la realtà di Vrin significativa perché, alcune
particolarità del sito, sono comuni a moltissimi insediamenti della
montagna bellunese e perché, alcuni risultati, possano essere
considerati estendibili anche alle nostre realtà. L’azione di Gion
Caminada, nel caso specifico, è stata mirata alla rigenerazione del
paese di Vrin, circa 200 abitanti, situato nella Svizzera dei Grigioni a
1450 metri di altitudine che, come molte realtà simili, sta lottando
per la propria esistenza. Gli interventi realizzati non interessano solo
l’architettura, ma anche l’urbanistica e l’economia, e riguardano
edifici con diverse funzioni allo scopo di proteggere e mantenere le
attività locali ed in definitiva la vita del paese. Nelle varie
realizzazioni l’architetto ha sviluppato, come processo di
perfezionamento e innovazione di modelli locali, un personale modello di
costruzione, semplice ed economico, dimostrando di saper ben coniugare
il pensiero intellettuale con una grande capacità pratica.
Per quanto riguarda l’ultima edizione del 2006
volevo invece segnalare la varietà dei temi affrontati che, oltre alle
case di abitazione, va dal gruppo di supermercati edificati dalla MPREIS
nel Tirolo (al supermercato di Rainer Koberl e Astrid Tschapeller è
stato assegnato il premio premio a parimerito con il Collegio femminile
del convento Disentis di Gion Caminada), agli edifici pubblici e
sociali, agli edifici culturali e turistici, agli edifici produttivi e
industriali (tenuta di vini, due centrali di teleriscaldamento, restauro
di una cascina, centro per servizi stradali ), per finire con numerosi
ponti e passerelle.
Le mostre itineranti, che hanno fatto seguito alle
edizioni del 1999 e 2006, sono andate molto lontano e hanno riscosso un
ampio riscontro di pubblico nelle varie tappe tra città e luoghi di
provincia (segnalo che la mostra del Premio Sesto del 1999 è stata
ospitata a Domegge di Cadore dal 12 gennaio al 3 febbraio 2001 e che la
mostra del Premio Sesto del 2006 è stata ospitata a Lozzo di Cadore dal
3 al 23 aprile 2009). Il successo di tali eventi va attribuito oltre che
alla qualità dei progetti anche, come sostiene l’Arch. Christoph Mayr
Fingerle nell’ultima edizione del 2006, alla "trasferibilità
paradigmatica del tema"7.
Esiste infatti, da parte
di chi costruisce in montagna, sia la consapevolezza di condividere le
medesime problematiche che l’intuizione che alcuni risultati possano,
pur con sensibilità diverse, essere un contributo estensibile. La rete
di rapporti che con tali eventi sono stati creati costituisce inoltre un
luogo che, superando i confini nazionali, ha generato e continua a
generare momenti di dibattito vitale tra esperienze simili.
Anche la montagna bellunese, dove l’edilizia
tradizionale occupa la stragrande maggioranza del panorama costruito,
pur tra mille difficoltà, si è ricavata un piccolo spazio all’interno
di questo dibattito.
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Senza entrare nello specifico, vorrei segnalare che
lentamente si stanno sviluppando interventi in cui la decisione di
recuperare il tessuto edilizio tradizionale, ovvero di instaurare nuove
letture dello stesso, sfugge, sulla scorta degli esempi sopra
evidenziati, sia la logica del semplice inserimento mimetico che l’obbligo
della diversità a tutti i costi. Una nuova sensibilità ambientale,
accompagnata da alcuni, se pur parziali, interventi legislativi,
suggerisce inoltre di far perdere peso complessivo alle costruzioni,
ovvero di alleggerire le costruzioni in termini energetici, sia in
relazione ai consumi di esercizio che all’impegno di energia grigia
(energia per la fabbricazione di un prodotto). Realizzare costruzioni di
qualità, più leggere, nel senso sopra indicato, a basso costo,
evitando sprechi, rimane a mio avviso la sfida per il futuro.
Recupero edilizio e rigenerazione urbana
La situazione sociale e paesaggistica della montagna
bellunese riflette, sotto molti aspetti, il quadro generale della fascia
alpina e prealpina italiana, caratterizzato da un profondo cambiamento
del modello imprenditoriale e settoriale con il quale nel secolo scorso
si andò via via sostituendo l’antico assetto socio economico, basato
sulle tradizionali attività agro-silvo-pastorali, che fu alla base
della colonizzazione delle valli dolomitiche.
Il fenomeno storico dello spopolamento della
montagna, caratterizzato dall’abbandono agricolo dei versanti in
pendio e dal successivo avanzare del bosco di scarsa qualità, risulta
accentuato, in questi ultimi anni, anche dalla crisi del mercato della
seconda casa. Il fenomeno si presenta ormai di dimensioni così estese
da costituire motivo di allarme per le popolazioni che, oltre ad
assistere al degrado del patrimonio edilizio, del paesaggio e dell’ambiente
montano, vedono anche compromesse le prospettive future di sviluppo
turistico ed economico. Va infatti ricordato che la stessa appetibilità
turistica risiede nelle singolarità e unicità dell’ambiente
naturale, ma componente essenziale diventa il territorio antropizzato;
soprattutto l’eredità storica di valore architettonico e testimoniale
che caratterizza il paesaggio e ciò che tale eredità determina, in
termini di rapporto e condizionamento, per le nuove costruzioni.
Ne conseguono valutazioni critiche su come i temi del
restauro e della conservazione, del riuso degli antichi manufatti, del
rinnovo edilizio, sono stati sviluppati in questi anni. Spesso infatti
ci troviamo di fronte ad interventi che, conclamando il riferimento alle
preesistenze, in realtà hanno prodotto edifici dall’aspetto ibrido
quando non di sola e acritica imitazione superficiale.
Ma, fatto ancora più importante, impera purtroppo la
confusione tra rinnovo edilizio e rigenerazione urbana, ovvero spesso si
assiste alla semplicistica versione che attraverso una massiccia
iniezione di ristrutturazioni edilizie alla fine anche le città e
centri minori, molto diffusi nell’area alpina, verranno trascinati
nell’operazione di recupero.
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Qualsiasi centro, qualsiasi insediamento,
anche di modeste dimensioni, è invece qualcosa di più e di altro della
somma degli edifici che la compongono e implica, non solo l’esistenza
di una rete funzionante di servizi ed infrastrutture, ma anche l’esistenza
di un sistema complesso di rapporti e relazioni con l’ambiente ed il
paesaggio. Forma e qualità degli spazi "non costruiti" hanno
un ruolo fondamentale e, tutto ciò, vale tanto più in montagna, dove
si è costretti a vivere in un mondo obliquo ed instabile nel quale male
si collocano le regole e le visioni urbane.
Più in generale non si può che concordare con
filosofo Martin Heidegger che in un saggio del 1951 Costruire abitare
pensare8 affermava: "l’abitare precede il
costruire", rivendicando così il primato di una condizione
radicata alla geografia, alla storia e alla cultura, dove l’uomo,
oltre a prendersi cura di sé, cerca le proprie radici e consolida le
proprie tradizioni. Ciò significa che l’essenza dell’abitare
consiste in una questione etica e che l’abitare può essere
considerato una metafora attiva dell’aver cura, significa prendersi
cura delle cose che determinano la forma e disegnano le caratteristiche
di un luogo. La nostra epoca è stata invece perlopiù dominata da
prassi esclusivamente esecutive, incapaci di interrogazioni e pensiero,
prassi che sovente hanno ribaltato l’affermazione del filosofo Martin
Heidegger, anteponendo il costruire all’abitare, come spesso si è
verificato nelle aree turistiche con la realizzazione delle seconde
case.
Sviluppo sostenibile della montagna
Risulta evidente come di fronte a queste dinamiche ed
alla profonda metamorfosi sociale ed economica dettata dall’attuale
congiuntura, occorra intervenire, in modo sistematico, per rafforzare e
ricostruire un’efficiente agricoltura e zootecnia di montagna, quali
basi insostituibili per poter attivare una dinamica di recupero
abitativo dei centri montani, dell’edilizia rurale e del paesaggio
tradizionale.
Solo una continuità d’uso del territorio, attraverso
allevamento e coltivazione, consentirà il mantenimento delle condizioni
che, nei secoli scorso, hanno costruito un equilibrio tra l’azione
umana e l’ambiente naturale.
Più in generale si dovrà sviluppare un nuovo
rapporto tra uomo e ambiente che eviti il furore del fare, che non
consenta di costruire senza curarsi dell’abitare, di costruire
comunque qualsiasi cosa, in qualsiasi modo, in qualsiasi luogo.
In nome di un presunto sviluppo economico, anche la
montagna Bellunese subisce infatti iniziative che non ne rispettano i
caratteri.
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È tra queste l’Accordo di Programma tra il Comune di
Alleghe, la Regione e la Provincia di Belluno per la realizzazione del
cosiddetto "Campus Argentin-Accademia dello Sport", presso
Caprile. Si tratta di un complesso ricettivo alberghiero e sportivo,
dotato di strutture per l'esercizio del ciclismo, con annesso velodromo.
L’Accordo prevede poi la promozione di percorsi cicloturistici, di un bike
park nel comprensorio sciistico del Civetta e di Malga Ciapela, di
una scuola di ciclismo e di una pista da Bmx ai Piani di Pezzè,
di percorsi vari di downhill, four cross e cross
country, accessibili a chi utilizzerà gli impianti di risalita
invernali, nel comprensorio della Valle Agordina, della Val Zoldana e
della Val Fiorentina.
Il velodromo e le attività ricettive a Caprile,
progettati da un importante architetto, si propongono di coniugare l’architettura
moderna con lo sviluppo dell’economia locale: un’occasione per
attrarre investimenti da fuori Provincia e per sviluppare innovate forme
di turismo montano.
Ma si tratta veramente di un’occasione di sviluppo
in assoluto o piuttosto di uno sviluppo subordinato a un degrado
territoriale?
Si deve certamente concordare sulle
scelte di beneficio pubblico; ma non sono lievi i dubbi sulla
localizzazione dell’intervento. Il sito è un brano territoriale
pianeggiante, tra il Cordevole e la scarpata montuosa, già soggetto ad
alluvione. Come si comporterà un insediamento così esteso in occasione
del prossimo dissesto? Su chi ricadranno i costi di ripristino dell’area?
Senza contare che l’edificato che sorgerà sulla scarpata montuosa
sarà accessibile attraverso una nuova viabilità, bisognosa di costose
manutenzioni che l’Amministrazione Comunale non potrà sostenere.
E
ancora non basta: legato alla localizzazione, è il tema dell’impatto
ambientale in un’area già fortemente penalizzata dalla
caratterizzazione morfologica e le palazzine sulla scarpata o al suo
ridosso provocherebbero un assai aspro impatto paesaggistico. Infine, la
necessità di attrarre investimenti da fuori per sviluppare l’economia
del territorio non s’accompagna a una chiara strategia complessiva
degli interventi urbanistici.
Se il Comune potrà godere di taluni
modesti vantaggi, il territorio non riuscirà a sopportare un intervento
di tale portata. È perciò indispensabile far precedere all’Accordo
di Programma una verifica delle sue ricadute economiche e sociali, ma
anche e soprattutto una verifica degli impatti ambientali, paesaggistici
e idrogeologici.
E’ auspicabile che le nuove politiche di tutela e
salvaguardia territoriale sappiano misurarsi con la dimensione delle
nuove forme spaziali dell’abitare e del "disabitare" la
montagna. In relazione a quest’ultimo concetto trovo molto
interessante quanto scrive Luciano Bolzoni nel suo libro Abitare
molto in alto - le Alpi e l’architettura9
dove viene attaccata la visione di una montagna come paesaggio da
cartolina "con tetti a due falde e con vecchi scarponi immersi
nell’acqua stantia" proponendo una critica ricognizione di
quanto costruito fino ad oggi in quota.
Lo scopo del libro è di
individuare, e quindi dismettere, ciò che non serve e deturpa il
paesaggio e recuperare ciò che può essere riutilizzato, distinguere
gli interventi che possono diventare occasioni per un turismo colto da
quelli che, per scarsa qualità costruttiva e per molti altri di
fattori, vanno demoliti evitando che la montagna diventi solo "il
luogo in cui ambientare per forza l’arte del ricordo a tutti i costi".
È auspicabile che, per affrontare con consapevolezza
la questione del ripopolamento, la montagna vada immaginata non più
come un bene da possedere, ma piuttosto come un mondo di cui essere
eticamente responsabili, un mondo di cui aver cura.
Tutti dovremmo essere consapevoli che solo una
montagna abitata e curata può portare a sviluppo economico e qualità
della vita per i suoi abitanti e per quanti vorranno condividere con
loro questo straordinario territorio.Va infine ricordato che, soprattutto nei territori
montani, il momento progettuale e di programmazione non si è ancora
conquistato il ruolo fondamentale che gli compete.
In questi territori,
considerati da sempre ai margini dei processi di sviluppo, nei piani ai
vari livelli, si assiste alla trasposizione acritica di modelli e
regole, nati per la pianura e per realtà caratterizzate da tutt'altre
densità abitative, che risultano assolutamente inadeguati.
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Per
pianificatori ed urbanisti le riflessioni sulle questioni dell’abitare
e dell’urbanità hanno incorporato prevalentemente le dimensioni della
città consolidata e dei lunghi pubblici. Solo una riflessione limitata
si è misurata con il patrimonio residenziale di montagna, con quello
legato alle pratiche turistiche e con quello legato ai nuovi, anche se
modesti e lenti, fenomeni di ritorno ad un abitare stabile. In generale
andranno approfonditi i nuovi rapporti tra quelle che, fino all’attuale
congiuntura, venivano definite zone di sviluppo e la marginalità dei
territori montani per arrivare ad una ridefinizione del rapporto tra
città e montagna.
Le varie figure professionali che operano nel
territorio dovranno risolvere l’annosa confusione sulle competenze e
riconquistarsi un ruolo forte e qualificato, per evitare a chi detiene
il potere politico/amministrativo o economico/imprenditoriale dannosi
sconfinamenti dai propri ruoli.
Note
F. La Cecla, Mente Locale – per un’antropologia dell’abitare,
Elèuthera, 1993
A.Loos, Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 1974
S. Los, Geografia dell’architettura, in "Costruire in
montagna secondo qualità", Grafiche Antiga, Cornuda (TV), 2006
S.Los, N.F. Pulitzer, I caratteri ambientali dell’architettura,
guida alla progettazione sostenibile in Trentino, Arca, Trento,
1999
C. Mollino, Tabù e tradizione nella costruzione montana, in
"Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli
Architetti in Torino", nuova serie, anno VIII, N. 4, Aprile 1954
C.M. Fingerle (a cura di), Architettura contemporanea Alpina ,
Premio d’Architettura 1999, Birkhauser, Basel, 2000
C.M. Fingerle (a cura di), Architettura contemporanea Alpina ,
Premio d’Architettura 2006, Birkhauser, Basel, 2008
M. Heidegger, Costruire abitare pensare in "Saggi e
Discorsi", Mursia, Milano, 1990
L. Bolzoni, Abitare molto in alto - le Alpi e l’architettura,
Priuli & Verlucca, 2009
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