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QUALE RIFORMA DEL TITOLO V?
Una delle priorità del nuovo Governo guidato da Matteo Renzi (Partito Democratico), oltre alla nuova legge elettorale e alla riforma del Senato della Repubblica, è la modifica del Titolo V della Costituzione. E’ da chiedersi però quale riforma s’intenda intraprendere, quali contenuti dare ai rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali territoriali. Così com’è il Titolo V ha creato più problemi che risposte concrete ed efficienti alle attese dei cittadini.
L’occasione per l’avvio di un processo di trasformazione dello Stato in senso federale, come da molti auspicato, non è riuscita, in quanto la stessa legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V, è stata carente sotto diversi profili:
- dal riparto per materie di cui all’art. 117 Cost., etichette vuote e riempite solo dalla copiosa giurisprudenza costituzionale che hanno aumentato in modo esponenziale il contenzioso davanti al giudice delle leggi;
- alla mancanza di previsioni costituzionali relative alle sedi d’incontro dei diversi livelli di governo territoriale;
- dal non semplice e mai attuato meccanismo volto ad attribuire alle Regioni ordinarie maggiori competenze legislative negli ambiti di potestà esclusiva dello Stato ai sensi del comma 3 dell’art. 116 Cost. (il c.d. regionalismo differenziato o a geometria variabile) ;
- alla mancanza di una rappresentanza degli interessi regionali e locali in seno ad una delle due Camere e nella stessa Corte costituzionale la cui composizione rispecchia la distribuzione verticale dei poteri, ma non quella orizzontale.
Tanti problemi sul tappeto, tante aspettative, ma quali soluzioni?
Se il legislatore intende proseguire sulla via del rafforzamento efficiente del regionalismo, che mantenga la disciplina costituzionale del riparto delle competenze (diversamente dal modello spagnolo che affida alla Costituzione solo l’indicazione delle materie che inderogabilmente spettano allo Stato), non scegliendo quella della ricentralizzazione di funzioni e competenze (sebbene in alcuni ambiti sia opportuna una riappropriazione dello Stato della funzione legislativa: si pensi alle grandi reti di trasporto e navigazione oggi di potestà concorrente), un primo aspetto potrebbe essere quello del superamento della clausola della residualità delle competenze legislative regionali di cui comma 4 dell’art 117 Costituzione.
Alle Regioni dovrebbe essere assegnata una competenza primaria riguardo a quelle
politiche pubbliche (e non a materie) dotate di una dimensione “territoriale propria”, ossia rispondenti a interessi riferibili al rapporto stretto e diretto con il territorio regionale (edilizia, urbanistica, turismo).
Un secondo aspetto potrebbe rinvenirsi nel superamento della potestà concorrente, quella cioè ripartita tra Stato e Regioni, un vero unicum nell’esperienza comparata, abbandonato perfino dalla Germania nel 2006.
In quei settori che si caratterizzano per un intreccio forte d’interessi statali e regionali, si potrebbe ipotizzare un meccanismo di codeterminazione pattizzia della rispettiva normativa (qualche studioso guarda al modello negoziale che regola i rapporti tra Regno Unito e Scozia), come pare peraltro aver indicato la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 51/2013 in tema di prestazioni sanitarie e assistenziali.
In questo, potrebbe ricoprire un ruolo decisivo il Senato delle autonomie che si vorrebbe istituire in luogo di quello esistente.
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