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In tema dell'accoglienza. La
chiesa ha una sola parola
C’è un
filo comune che unisce l’atteggiamento delle Chiese cristiane nei
confronti di coloro che hanno alle spalle un matrimonio fallito e hanno
scelto di legarsi con una nuova persona: la mancanza di ogni giudizio
morale sul comportamento delle persone, unita alla consapevolezza di
avere a che fare con uomini e donne bisognose di sentire la vicinanza
di una comunità cristiana attenta ai loro problemi.Se questa è
la base di un comportamento fondato più sulla misericordia che sulla
rigida applicazione delle sanzioni canoniche, ben diversa è la
riflessione teologica maturata nel corso dei secoli all’interno del
cristianesimo. Un confronto su queste tematiche è stato al
centro della giornata interdisciplinare organizzata la settimana scorsa
dal Seminario arcivescovile di Milano e dalla Sezione parallela della
Facoltà teologica dell’Italia settentrionale nell’aula magna
della sede di Seveso.
“Matrimonio
in-dissolubile: divorzio e nuove nozze nelle confessioni cristiane”
è stato il tema dibattuto dai tre relatori: i teologi don Aristide
Fumagalli e don Marco Paleari e il professor Alberto Conci, docente
di Filosofia a Trento, nonché grande conoscitore del pensiero di
Dietrich Bonhoeffer.
Protestanti
Cattolici Ortodossi
A loro è spettato il compito di presentare il problema alla luce
della disciplina della Chiesa cattolica e della prassi delle Chiese
ortodosse e protestanti. C’è subito un elemento a fare la
differenza: mentre per cattolici e ortodossi il matrimonio è un
sacramento, per i protestanti abbiamo a che fare con una «realtà della
buona creazione di Dio, che è diventata una delle istituzioni
fondamentali della realtà umana». Una sorta di patto fra un uomo e
una donna. È da qui che derivano diversi atteggiamenti nei confronti
dei coniugi che decidono di divorziare e di contrarre un nuovo
matrimonio.
«L’attuale disciplina della Chiesa cattolica - sottolinea don
Aristide Fumagalli - appare senza dubbio la più severa. Essa,
infatti, esclude la possibilità di nuove nozze sacramentali a seguito
del fallimento di un precedente matrimonio valido». Ma non è
tutto. Coloro che vivono in una situazione definita irregolare non
possono assumere incarichi rilevanti a livello liturgico (lettore),
educativo (catechista, padrino o madrina) o essere membro di un
consiglio pastorale.
Diversa è la situazione tra gli ortodossi. «Il matrimonio è
indissolubile - precisa Marco Paleari - e contratto a
vita; anzi, anche la morte non avrebbe la forza di scioglierlo. Il
divorzio è però ammesso e concesso solo in casi specifici, come una
concessione alla debolezza del peccato dell’uomo. Se il matrimonio
fallisce, la Chiesa si pone il problema della salute spirituale degli
sposi e delle loro anime affinché non si perdano». Alle seconde e
alle eventuali terze nozze non viene tuttavia riconosciuto lo stesso
carattere sacramentale delle prime.
Più articolata è la situazione nel mondo protestante dovuta
alla sua frammentarietà. «Questa differenza di atteggiamento -
chiarisce Alberto Conci - non va però enfatizzata. Più che
essere espressione di una pluralità di valutazioni di carattere etico e
di diversità nell’approccio ai passi biblici, essa appare come legata
alla percezione del limite umano, così marcata nella riflessione
protestante, di fronte alla quale le Chiese hanno elaborato posizioni
diversificate».
Che si tratti di un’accettazione “naturale” del fallimento di un
matrimonio, o di una grave rottura di un legame sacramentale, comune
a tutte le tre confessioni religiose è l’atteggiamento di rispetto e
vicinanza nei confronti di quelle persone che desiderano continuare a
vivere all’interno della Chiesa.
I
divorziati nella chiesa cattolica a pieno titolo
Giovanni Paolo II, nella Familiaris consortio, non si
limita a ritenere i divorziati parte della Chiesa, ma si spinge sino a
prevedere, anzi a sollecitare la loro partecipazione attiva. Cattolici,
ortodossi e protestanti stanno già sperimentando forme di “pastorale
di accompagnamento” per divorziati risposati. Il problema di base
è infatti questo: evitare che un passaggio così traumatico si
traduca nell’allontanamento dalla comunità e nella perdita della
fede.
Ratzinger e i
divorziati
E dieci anni fa l’allora Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger,
enunciava concetti analoghi: «I fedeli divorziati risposati rimangono
membri del popolo di Dio e devono sperimentare l’amore di Cristo e la
vicinanza materna della Chiesa. Sebbene questi fedeli vivano in una
situazione, che contraddice il messaggio del Vangelo, essi non sono
esclusi dalla comunione ecclesiale. Essi sono e restano sue membra,
perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana. Per
questo motivo i documenti magisteriali parlano normalmente di fedeli
divorziati risposati e non semplicemente di divorziati
risposati».
Saverio CLEMENTI
Milano 04/12/2008
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