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RIORDINO DELLE PROVINCE:
TRA ABUSO NELL’UTILIZZO DELLA DECRETAZIONE LEGISLATIVA DI URGENZA E PERSISTENTE VIOLAZIONE DELL’ART. 133, COMMA 1, COSTITUZIONE
L’approvazione del decreto-legge n. 188/2012 sul riordino/riduzione delle Province apre scenari sempre più problematici sul piano della legittimità costituzionale. Mi soffermerei su due tra i numerosi aspetti che la lettura del decreto pone. Il primo è di ordine metodologico. A prescindere dal fatto che l’art. 17, comma 4, della legge n. 135/2012 parla di “atto legislativo di iniziativa governativa” e non di decreto-legge, sappiamo che la Costituzione prevede l’adozione di provvedimenti provvisori aventi forza di legge (art. 77, comma 2) unicamente in presenza di una situazione attuale (e non potenziale) di straordinarietà, urgenza e necessità per fronteggiare la quale non è possibile provvedere con gli strumenti legislativi ordinari. La manfrina del contenimento della spesa pubblica non regge più e, comunque, alla luce di recenti interventi del giudice costituzionale (sentt. n. 148 e 151/2012 Corte cost.), non può spingersi fino al punto di ledere e comprimere la sfera di autonomia degli enti locali territoriali e, pertanto, anche della loro identità territoriale che dell’autonomia è il presupposto logico. Inoltre, è precluso alla decretazione legislativa d’urgenza intervenire in materia costituzionale (art. 72, comma 4, Cost.), poiché, sul punto, sebbene in dottrina non via sia un’unanimità di consensi, esiste una riserva di assemblea intesa quale riserva di legge formale. Si è obiettato che, in questo caso, si sarebbe in presenza di una norma che non incide sulla ripartizione della competenza, ma che apparirebbe destinata solamente assicurare la piena e totale partecipazione dei membri di ciascuna Camera alla discussione ed approvazione di leggi di un certo rilievo. Tuttavia, la ratio della disposizione costituzionale, che non può non ravvisarsi nella opportunità di far discutere determinati disegni di legge di importanza politica ed istituzionale in una sede che per sua natura implichi garanzie di pubblicità delle scelte, presuppone il ricorso alla legge formale. Se così non fosse, che senso avrebbe l’ imporre un esame ed un’approvazione da parte dell’Assemblea se questi possono venire aggirati attraverso un mutamento di atto legislativo? Quanto poi alla definzione di “materia costituzionale”, utilizzata nell’art. 72, comma 4, Cost., mi sento di aderire alla tesi che vi fa rientrare anche le riforme ordinamentali. Non sono dell’idea che l’espressione utilizzata dal legislatore costituente si riferisca esclusivamente alle leggi formalmente costituzionali o di revisione costituzionale, ma che includa anche le leggi ordinarie integrative o attuative di precetti costituzionali tra le quali rientrano a pieno titolo quelle di mutamento della circoscrizioni provinciali (art. 133, comma 1, Cost.) e quelle (art. 117, comma 2, lett. p), Cost.) sull’ordinamento e sulle funzioni di Città metropolitane, Province e Comuni. Del resto, aderendo alla prima interpretazione non sarebbe messo in discussione il carattere generale della legislazione ordinaria? Il secondo è di ordine sostanziale. L’art. 1 del decreto-legge adottato dal Governo Monti sul riordino introduce, all’art. 3 del d.lgs. n. 267/2000, un comma aggiuntivo, il 3 bis, con il quale si elevano a rango legislativo i parametri di riordino fino ad ora contenuti nella deliberazione del 20 luglio 2012. In questo modo, l’Esecutivo attribuisce alla legge il potere di stabilire a priori il numero delle Province (ridotte da 86 a 51). Nel dettato costituzionale, invece, non è stabilito alcun limite numerico, con l’unica eccezione delle Regioni elencate nell’art 131 Cost. Riflettendo su quest’aspetto, vi è chi ha sostenuto che, proprio per la mancanza del numero, è possibile ridurre/riordinare le Province senza la necessità di modifica della Costituzione. Questa affermazione, seppur corretta, necessita di essere puntualizzata. Infatti, è vero che le istituzioni provinciali non sono garantite nella loro complessiva esistenza, ma questo in relazione al fatto che si può mutarne la circoscrizione su atto d’impulso dei Comuni ai sensi dell’art. 133, comma 1, Cost. Pertanto, al di fuori dell’iter indicato nel Testo fondamentale, ogni ipotesi di riduzione è incostituzionale. La tesi, secondo la quale la norma costituzionale invocata è applicabile solo a ipotesi di mutamento puntuale, non è sostenibile per tre ordini di ragione: in primo luogo, perché una tale limitazione non è in alcun modo contemplata dall’art. 133, comma 1, Cost., in secondo luogo, perché già dai lavori dell’Assemblea Costituente vi era l’intenzione che l’istituzione di nuove Province e la modifica di quelle esistenti avvenissero con un atto che fosse espressione delle popolazioni direttamente interessate e, quindi, non fosse imposta dall’alto, infine, in terzo luogo, perché dalla giurisprudenza costituzionale non si ricavano elementi derogatori al procedimento di cui alla norma costituzionale sopra citata.
Daniele Trabucco
Università degli Studi di Padova
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La morte e il moririre, ovvero, la vita. Non lasciamoci intimorire dal titolo della comunicazione che l'assessore al comune di Bbelluno, prof.sa Claudia Alpago-Novello, ci ha donato. Purtroppo per molti la morte è un argomento tabù. Eppure è un evento umano che fa parte della vita e ci riguarda tutti da vicino.Un video controcorrente che qualifica una Amministrazione |
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La provincia di Belluno non può essere un mero confine geografico. Ultima chiamata per salvare la provincia. Ma non solo al Governo. Il prof. Daniele Trabucco in questo servizio è estremamente chiaro:la chiamata ci riguarda tutti. Serve un nuovo approccio culturale-politico. E' necessario costruire un ente che non complichi la burograzia, che non aggiunga costi inutili, che rappresenti tutta la popolazione, ma salvaguardi il diritto delle Terre Alte di gestire il proprio territorio. |
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Stemmi e antiche famiglie di Mel. Il libro non è soltanto una storia delle famiglie nobili di Mel (nobili si fa per dire perché molte "nobiltà" sono state comprate) ma anche uno specchio di una società e della popolazione comune spesso estremamente povera anche per i tempi passati. Si tratta di una società litigiosa, soprattutto nel Seicento in cui i problemi si cercavano di risolvere con il ricorso alla giustizia e di frequente con archibugiate, con bastoni o con coltelli. Una società forse non molto diversa da quella dei nostri giorni anche se le sentenze erano molto più rapide. Una ricerca, quella dell'autrice del libro, sicuramente imponente che lascia intravvedere una micro storia in cui diventano fondamentali l'economia, l'ambiente i costumi le condizioni sociali il modo di vivere. Un ulteriore contributo, insomma, per far risuonare, in chi percorre le vie di Mel, il calpestio della storia, la nostra storia. |
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09.11.2012 | Detrazioni di imposta 55% - 36%
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