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"Ma
com’era qui prima dell’ascensore?", "Come saran
state e mura integre? Immaginiamo…", "Com’era
bello! Peccato però…".
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Che malinconia!
Mi prende sempre una certa malinconia quando incontro per strada il
Molto Reverendo signor Progresso. Chissà perché.
Confesso che mi sta un po’ antipatico, il Progresso. Prima di tutto
perché è un gran fanfarone che ti promette sempre mari e monti e poi…
e poi sempre, almeno un po’, ti delude.
In fondo è come lo Stato: con una mano ti dà e con l’altra ti
cava e il bilancio non è sempre a tuo favore.
E poi perché il signor Progresso ha una faccia ottimista,
esageratamente ottimista e smodatamente allegra e positiva, ha la faccia
di certi compagni di scuola, quelli che sapevano sempre la risposta
giusta, che erano sempre un passo avanti a tutti.
E ancora perché il Progresso ha "una soluzione per tutto",
così dice, e mentre lo dice, e questo è il bello, ci crede pure.
Il Progresso. L’ho incontrato in questi giorni a Feltre mentre tirava
giù i vecchi alberi del duomo, con aria indifferente.
Mica glie ne importa al Progresso di quanti anni avessero quegli alberi.
C’è un traffico da far passare!
Adesso è lì che si appresta a fare un buco nelle mura.
E non gli importa nulla di quanti anni abbiano quelle mura.
In fondo, dice, le ha costruite lui stesso, tanti anni fa. Ed oggi, che
bisogna far salire la gente da sotto in su, ci vuole un ascensore e lui,
il Progresso, che ha avuto l’idea, ora provvede.
Io mi sono affrettato a immagazzinare con l’ultimo sguardo la memoria
di quel tratto di mura rinascimentali prima dello scempio. Dopo, quando
il cantiere del signor Progresso sarà smontato, la cosa non saràCome quando, secoli fa, da quelle stesse
mura l’architetto Progresso fece togliere la merlatura e demolire i
bastioni. mai
più la stessa. Resterà per sempre un fatto, un fatto irreparabile.
Come quando dal castello smontò le torri. Come quando volle costruire
un vespasiano in cemento puro per entrata dell’area archeologica.
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Come quando dal castello smontò le torri. Come quando volle costruire
un vespasiano in cemento puro per entrata dell’area archeologica.
Chissà le voci del futuro, mi par quasi di sentirle: "Ma com’era
qui prima dell’ascensore?", "Come saran state le mura
integre? Immaginiamo…", "Com’era bello! Peccato però…".
Poi ripenso al vecchio terrazzo sotto il municipio: ne ho già nostalgia
adesso, precocemente. Ho nostalgia di quando non aveva il
"gabbiotto" trasparente in mezzo, di quando ancora sapeva di
città vecchia. Le scritte degli innamorati e i cuoricini insulsi mi
tornano cari adesso, adesso che penso che forse agli innamorati non
piacerà più trovarsi a sognare dietro quella sintetica torretta in
plexiqualcosa dell’ascensore.
Ma è il Progresso!
Michele Balen
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