Altri
documenti
Scadenziario
opportunità per persone non autosufficienti
Appello al
Presidente
Giorgio Napolitano
Aborto.
Giuliano Ferrara
a Madrid
Omelia
di Pasqua
del 1775
Cattedrale di
Belluno
|
|
Cari amici,
signore e signori.
Molti anni fa noi occidentali abbiamo deciso che nessuna donna può
essere legalmente obbligata a partorire e che nessuna donna deve essere
incarcerata per avere abortito. Fu una soluzione obbligata e decente,
che non è possibile e non è giusto oggi rovesciare, e che fu presa per
combattere l’aborto clandestino.
Ma da quel tempo ad oggi il mondo è stato sfregiato da oltre un
miliardo di aborti, e una cappa di muta disperazione è calata
sull’umanità. Gli aborti continuano al ritmo di cinquanta milioni
l’anno.
Nessun contraccettivo ha limitato il numero degli aborti, perché
l’aborto chirurgico e farmacologico è diventato il metodo
anticoncezionale più diffuso. Il nostro mondo è invecchiato
precocemente e la vita è stata maltrattata e disumanizzata. Da quel
tempo ad oggi l’aborto si è anche trasferito dal seno materno alla
provetta della fecondazione artificiale.
E’ diventato sempre di più aborto
selettivo, dispotismo
genetico, nuova schiavitù in cui una cultura forte, dominante, fiera
del suo patto faustiano con il diavolo dello scientismo, decide per
conto dei più deboli e indifesi tra gli esseri umani. Decide sulla
pelle delle donne e dei bambini in un naufragio universale in cui
nessuno ha più il coraggio di gridare il grido della salvezza che è
sempre stato orgoglio dei navigatori e dei soccorritori: prima le donne
e i bambini!
Questa cultura di radicale scristianizzazione decide come si decideva
sul monte Taigeto che domina Sparta: la cura del malato, l’accoglienza
del diverso, sono state dichiarate anticaglie, arcaismi, ed è stato
giudicato moderno e postmoderno l’annientamento all’origine della
vita considerata non degna di essere vissuta.
Non è degna di essere vissuta la vita di milioni di bambine in
Asia, vittime di politiche pubbliche antinataliste fondate
sull’esclusione sessista di chi è considerato un ingombro per la
linearità dell’asse ereditario o un carico inutile nel mondo del
lavoro agricolo.
Non è degna di essere vissuta la vita dei bambini affetti da
sindromi con le quali si può condurre una vita ordinaria o
straordinaria, alla ricerca della felicità e nel riconoscimento della
comune natura umana. In un ospedale di Napoli due settimane fa è stato
eliminato, in condizioni infernali, un bambino di ventuno settimane che
aveva la sindrome di Klinefelter, una anomalia cromosomica che tocca a
un piccolo su cinquecento e che si cura con metodi ordinari e consente
una vita sostanzialmente regolare.
Nessun giornale, nessun telegiornale se ne è accorto.
Ai rifiuti urbani che preoccupano la comunità italiana mentre montagne
di spazzatura si accumulano nelle strade di quella città, un tempo
capitale di una grande cultura umanistica, si è aggiunto
nell’indifferenza generale un altro rifiuto umano considerato indegno
perfino di sepoltura.
In Italia si è arrivati alla follia di discutere se si debbano o no
accogliere e curare i neonati vitali che sono il frutto di aborti
terapeutici alla ventiduesima o ventitreesima settimana di
gestazione.
Il nostro ministro della Salute, una cattolica disperata che ha
consegnato la sua cultura e la sua sensibilità alla prigione
dell’ideologia, ha considerato “una crudeltà” che questi bambini
vengano presi in cura senza prima chiedere l’autorizzazione dei
genitori.
La logica dell’aborto facile, che la pillola abortiva Ru486 è
destinata a rilanciare, riconsegnando all’antica solitudine femminile
la pratica abortiva, insegue la sua preda, il bambino nascituro, fin
dentro l’aria che tutti respiriamo, fin dentro il mondo in cui tutti
dovremmo essere stati creati eguali ed egualmente titolari della libertà
di vivere.
Una cultura mortifera di cui tutti siamo più o meno complici condanna
le donne a una logica di paura e di rigetto violento e innaturale della
maternità, di ignoranza e di abitudine al disamore e all’infelicità.
Questa cultura spaccia per diritto di autodeterminazione e per
libertà o sovranità procreativa la nichilistica tendenza a disporre
della libertà altrui di nascere, si accanisce sul corpo femminile
imponendo come costume sociale libertario l’atto più contrario alle
elementari considerazioni di umanità e di pietà che tutti gli esseri
razionali, credenti e non credenti, condividono nel fondo del proprio
animo e della propria coscienza: le donne e i bambini nascituri
subiscono l’inganno e la pratica dell’omicidio perfetto. Un potere
ideologico storicamente maschile conduce alla totale negazione del
futuro per creature umane concepite nell’amore e strappate con
violenza e con dolore dal riparo naturale in cui hanno ricevuto la
promessa sacra della vita e dell’amore.
Tutto questo avviene ormai nella più totale indifferenza morale e
filosofica, e solo la chiesa cattolica e le altre denominazioni
cristiane levano la loro voce inascoltata contro l’abitudine alla
morte e il suo miserabile significato di schiavitù e di demenza civile.
Nel suo discorso al corpo diplomatico dello scorso 6 gennaio Benedetto
XVI ha chiesto di riaprire la discussione sul valore sacro della vita
umana dopo il voto delle Nazioni Unite che chiede la sospensione, la
moratoria, dell’esecuzione delle pene di morte legali in tutto il
mondo. Quando era un teologo e un cardinale, il Papa aveva messo in
guardia il mondo affermando che con questa selta di “curare” la vita
negandola “abbiamo dichiarato eretici l’amore e il buonumore”.
Infatti, come possiamo rallegrarci di un gesto umanitario come la
moratoria sulla pena di morte se non siamo capaci di favorire una
moratoria sulla pena d’aborto?
Il segretario delle Nazioni Unite ha recentemente dichiarato che le
donne sono oggetto di violenza e di esclusione nel mondo, e che in molte
nazioni “non hanno nemmeno il diritto alla vita”, e ha giudicato
“un flagello” questa pratica criminale. Un grande giurista italiano,
il compianto Norberto Bobbio, un socialista liberale che viene
considerato un esempio perfetto di laicità, disse nel 1981 che tra
tutti i diritti “il diritto di nascere deve essere difeso con
intransigenza, e per lo stesso motivo per cui si è contrari alla pena
di morte”. Un grande e compianto poeta italiano, il marxista e
cattolico Pier Paolo Pasolini, affermò di ricordare la sua propria
vitalità di bambino nascituro, di sentire fisicamente sul suo corpo il
segno di una vita cominciata nel senso di sua madre, e definì omicidio
ogni tipo di aborto.
Ma queste affermazioni, questi sentimenti, questi pensieri che
accomunano la speranza e il voto di credenti e non credenti sono stati
messi in archivio dal pensiero dominante. Queste certezze ed evidenze
della mente e del cuore vengono regolarmente censurate come espressioni
di oscurantismo illiberale dalla comunità della tecnoscienza, dai guru
in camice bianco che teorizzano il diritto di morire, e sostengono
perfino la pratica dell’eutanasia infantile secondo le regole del
protocollo olandese di Groningen. Ideologi in buona fede, fanatizzati
dalla presunzione di essere nel giusto e di lavorare per il progresso
della storia, si arrogano il diritto di definire con pretese
scientifiche i confini della libertà di esistere. Non importa che nelle
sale di concerto si possa ascoltare la grande musica divinamente
orchestrata da un direttore con la spina bifida: i malati di spina
bifida devono morire per decisione legale. Questi guru postmoderni
vogliono entrare nei Parlamenti, come accade oggi in Italia con la
candidatura del professor Umberto Veronesi nelle file del Partito
democratico. Occupano le prime pagine dei giornali, le riviste
specializzate che vendono il miraggio di una vita indefettibilmente sana
e confortevole, predicano il diritto di fabbricare bambini à la carte
secondo i desideri e i gusti soggettivi, diffondono una cultura della
salute che esclude ogni salvezza e ogni speranza per i deboli, per gli
anomali, per gli indifesi di ogni genere. E questo nel nome della loro
stessa felicità, che il nulla realizzerebbe meglio dell’esistenza. E
questo in nome della libertà e autodeterminazione delle donne, quando
il femminismo alle sue origini faceva della lotta contro l’aborto, di
cui le donne sono vittime, la sua bandiera. Dice Paolo ai Romani che
“nella speranza siamo stati salvati”. E ora nella negazione di ogni
speranza, predicata da una medicina fattasi pura tecnica che ha tradito
anche il giuramento di Ippocrate, siamo inevitabilmente perduti.
La battaglia contro l’aborto e l’eugenetica, contro il gesto più
antifemminile che sia concepibile e contro il programma di miglioramento
della razza, è la frontiera decisiva del nostro secolo. Non è una
contesa etica, non è una disputa intorno ai valori morali. Quella
intorno alla famiglia, all’amore, al matrimonio, al legame tra il
piacere unitivo e il dono di sé, tra l’eros e l’agape, è la grande
battaglia sul futuro dell’umanità, sul potere del buonumore e della
pace cristiana contro la logica di guerra superomista e transumanista
della civiltà occidentale nell’ora della sua fragilità e della sua
rassegnazione al nulla. Niente è più importante sul fronte culturale,
civile e politico. Non esiste salvezza per l’incanto della vita
moderna, per l’ironia e la gioia nei rapporti personali, per le grandi
possibilità che la scienza apre alla vita, se questa battaglia non
viene data con il rumore e il fragore che sono necessari. Non esiste
salvezza del nostro modo di vita liberale se non si restaura l’antica
alleanza di vita e libertà, life and liberty, proclamata nella
dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Tra la
mentalità abortista e l’idea binladenista che si debba amare la morte
più della vita c’è un sottile ma visibile elemento di continuità.
L’aborto maschio, moralmente indifferente, condanna le donne alla
stessa sottomissione e solitudine a cui sono condannate dal natalismo
forzato e dall’obbligo a partorire praticato nella umma islamica. Noi
abbiamo conquistato, contro l’aborto clandestino, la possibilità di
scegliere, il pro choice; e vinceremo la battaglia di civiltà solo se
riusciremo a scegliere per la vita, a mettere in grado ogni donna di
essere libera di non abortire. Questa è la frontiera di una modernità
libera dalla schiavitù femminile e dalla schiavitù infantile, e capace
di riprodurre senza fanatismo e senza cinismo il futuro del nostro mondo
e del nostro modo di vivere nel rispetto assoluto degli innocenti e
nella messa al bando di ogni relativismo e soggettivismo nichilista.
Cari amici, io ho molto rispetto per il vostro primo ministro José Luis
Rodríguez Zapatero. Non solo perché sono uno straniero. Quando ho
visto il vostro sovrano rispondere a un dittatorello sudamericano con la
frase ormai celebre: “Perché non stai zitto?”, ho applaudito
davanti al mio televisore. Ma le idee di Zapatero sul matrimonio e sulla
famiglia, la sua concezione di ciò che è l’identità di genere, e la
sua filosofia di un potere democratico procedurale fondato sui numeri e
sui soli numeri, tutto questo lo considero la negazione di un
razionalismo laico e moderno, tutto questo lo considero una sorta di
superstizione democratica capace di mettere capo a orrori come la
riforma del codice civile che ha cancellato il concetto di madre e di
padre dal diritto di famiglia.
Per i liberali, l’eguaglianza si
realizza nel riconoscimento delle diversità.
Sono i giacobini e poi i
totalitari del Novecento a tagliare la testa del diritto liberale per
portare in terra quel paradiso dell’eguaglianza come omologazione che
è stata l’inferno del XX secolo.
Per tutto questo tempo, mentre molti di noi hanno voltato la faccia
dall’altra parte, milioni di volontari nel mondo hanno dato e vinto la
buona battaglia, hanno espugnato uno dopo l’altro i mulini a vento
della Mancha universale. Non c’è solo la grande lezione di solidarietà,
di soccorso e di santità che arriva dagli operatori di pace e di vita
del mondo cattolico e cristiano. In una moderna e ricca città europea
come Milano, in un ospedale che è diventato il simbolo e il tempio
della lotta fra l’abitudine all’aborto e la libertà di non
abortire, una donna straordinaria, Paola Bonzi, ha risalito con tutte le
sue forze la corrente dell’indifferenza. Paola ha fondato un Centro di
aiuto alla vita e si è messa in ascolto di migliaia di donne. Paola non
ha la facoltà della vista, ma vede più lontano di ciascuno di noi e
conosce più di ogni altro le vere ragioni delle donne che si sentono in
obbligo di eliminare i loro bambini: le difficoltà materiali, la
solitudine, il condizionamento sociale, la paura di non farcela di
fronte al compito educativo in una società che svaluta come un ingombro
la presenza dei piccoli e li emargina dalle sue preoccupazioni sociali,
una vena di utilitarismo e di illusione personale. Piano piano, con
tenacia, senza moralismi ricattatori, dedicandosi con infinita pazienza
a quell’essere dimenticato che è la donna in maternità, Paola è
diventata la madre di migliaia di bambini e di migliaia di madri.
Paola è una persona reale, e io spero di portarla in Parlamento in una
lista per la vita e contro l’aborto che si presenta alle prossime
elezioni politiche in Italia. Ma se potessi, porterei in Parlamento
anche Juno, la protagonista di una clamorosa e bellissima fiaba
hollywoodiana che sta per uscire nelle sale di cinema d’Europa. Juno
è una ragazzina modernissima, parla il linguaggio colorito e sboccato
delle nostre strade, e arriva per istinto a capire che il rifiuto della
maternità non deve coincidere con la rassegnazione alla morte. Juno è
piena di amore e buonumore, fa ridere e piangere il pubblico come nelle
migliori commedie, ma non è una sulfurea eroina di Pedro Almodóvar. La
sua è un’altra logica poetica. Juno scappa da una clinica abortista,
partorisce un bel bambino e lo consegna in adozione a una donna che
desidera la maternità, e così riconquista la bellezza dell’esistere.
Un mondo che si considera libero e moderno ha tutto da imparare
dall’antica istituzione medievale della ruota dei conventi.
Cari amici, signore e signori.
Tutto ciò in cui crediamo, noi liberali
e laici alleati ai cristiani ferventi e consapevoli, si riassume in una
splendida frase del vostro Hidalgo: “Io sono nato per vivere
morendo”. Cervantes doveva avere in mente la “vita morente”
predicata da Agostino di Ippona. La vita umana è limitata e desiderosa
di infinito, per questo deve essere tenuta per sacra e definita dalla
speranza. La ragione umana è limitata dal mistero, per questo deve
essere usata in armonia con il diritto naturale e con la ricostruzione
razionale, nello spazio pubblico, di principi che non sono negoziabili
per nessun motivo al mondo.
E queste cose l’Hidalgo le diceva al suo
scudiero Sancho Panza, quando l’amore e il buonumore non erano ancora
stati dichiarati eretici, per deridere affettuosamente il suo realismo
mangione, il suo meraviglioso cinismo popolare: “Tu, Sancho, sei nato
per vivere mangiando”. Guardate il mio corpo e capirete che ho tutta
l’autorità necessaria per dirvi quel che ho detto.
Grazie
Giuliano Ferrara |