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Il
sacerdote "icona" nei programmi di vita dei cristiani
I n
un periodo in cui la Chiesa sottolinea la figura del Sacerdote ed in
concomitanza, purtroppo, con i recenti avvenimenti scandalistici
scatenati sulla figura stessa, propongo una riflessione personale,
animato anche dalla lettura dell’ottimo libro di Massimo Camisasca
"Padre" con sottotitolo: "Ci saranno ancora sacerdoti nel
futuro della Chiesa?" La figura del Sacerdote è una
"icona" nei programmi della nostra vita dietro la quale vi è
una persona che ci appartiene nella misura in cui la "usiamo".
Non può essere "proprietà" d’un
altro (o di un’altra), perché è "proprietà" dell’Altro
in nome del quale ci interpella e ci coinvolge. Non è
"legato" a qualcuno o a qualcosa, ma è lui stesso
"legame" che unisce il Cielo alla Terra, perché fin dal
principio ha risposto ad una chiamata: essere espressione e fondamento
del legame che ha la sua origine nel rapporto trinitario, e discende
sull’umanità per mezzo dell’incarnazione, passione, morte e
resurrezione di Cristo, e personifica il più nobile dei legami, l’unico
che porta salvezza: il legame d’Amore.
Non può avere "dimora", non può
"abitare" in una via, presso un numero civico, perché la sua
"stanza" è il mondo. Non può "ricevere per
appuntamento" né eleggere luoghi ed orari per farsi incontrare,
tanto meno prescrivere cure e rilasciare ricette.
E’ "il" viandante, "il"
pellegrino che vagabonda per le strade della nostra terra;
incontra e si lascia incontrare; ascolta e partecipa silenzioso e
solidale al racconto; condivide, incoraggia, propone, indica; non
giudica, ma perdona. E’ più del parente, più dell’amico perché
non chiede ricompensa o compenso, ma offre gratuitamente ciò che ha e
che gli è stato dato: la vita.
Solo lui è capace di rinnovarci, di farci
ridiventare "vergini" come eravamo in principio, irrompendo
con la sua potenza nelle sciagure del nostro spirito ripetendoci:
"Va’, io ti assolvo perché Dio ti ama."
Solo lui è capace di saziare la nostra fame e la nostra sete di
divinità, di immortalità, di bellezza, perché con la sua parola e con
il suo gesto il Corpo di Cristo si sostanzia nel pane e nel vino e,
donandocelo in cibo, ci rende "portatori" di Gesù il Cristo,
allo stesso modo come Maria ha portato Gesù nel suo ventre. All’ultimo
è lui che abbassa la maniglia della nostra porta verso l’infinito. Se
la misericordia di Dio, da lui implorata in quel momento, fa scattare la
serratura, nostro sarà finalmente il godimento eterno in Paradiso
insieme ai nostri cari ed amici santi.
Mi viene spontanea una invocazione:
o Sacerdote, il Signore che ti ha scelto ti
benedica.
La tua condotta sia tale che uomini invidiosi e maligni,
alla ricerca di pretestuose giustificazioni, non possano
"umanizzarti" al loro livello, dimostrando non solo che non
sei migliore, ma, anzi, sei peggiore di loro. La tua presenza sia un
sorriso di pace; la tua difesa sia l’umiltà del "servo"; la
tua grandezza sia il sigillo che solo tu sai mettere fra Dio e l’uomo
affinché diventino "una cosa sola". Per il resto, chiedici,
perché sei di famiglia. Da me non occorre che bussi o che suoni il
campanello… entra e rimani con noi, soprattutto quando si fa sera.
Luigi Gentilini
Belluno, 31 marzo 2010
info@quadernibellunesi.it
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