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Natale 2007 a Cortina
Sono venuto  non per dividere, ma per condividere la vita degli uomini.
L'omelia della Messa di mezzanotte  del decano don Davide Fiocco 
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Voglia di pace
Era il 24 dicembre del 1944. Ormai il sole era sceso oltre l’orizzonte delle colline dell’Appennino. Dopo un pomeriggio passato a confessare, don Angelo si attardava nella sua chiesa ormai deserta. Il sacrestano quella sera era andato a casa, senza salutare: d’altronde, di lì a poche ore avrebbe rivisto il parroco prima del mattutino; a casa lo aspettava la famiglia per un cenone di natale che gli eventi rendevano parco.
Don Angelo a casa invece non aveva nessuno, perché Maria, la sua stagionata perpetua, era andata via in primavera con un’epidemia di tifo. 
Già: era proprio cominciato così quell’anno, con quel lutto, antifona di una lunga serie di disgrazie.
Il peggio era venuto all’inizio dell’estate e poi via fino all’autunno. 
Erano i primi mesi accesi della resistenza. Quella maledetta guerra, di cui non si vedeva ancora la fine, non aveva lesinato nel disseminare lutti e vendette, dall’una e dall’altra parte. Imboscate dei partigiani da una parte; rappresaglie dei tedeschi o dei repubblichini dall’altra; e anche qualche vendetta privata.
Famiglie distrutte, quanta violenza!
  In quali abissi sa protendersi la crudeltà degli uomini. E oltre alla penosa ombra del lutto, sul paese si era stesa la pesante coltre dell’odio, del sospetto. Succede sempre così, quando gli uomini si schierano in fazioni: smarriscono le tante tonalità dei colori e l’altro diventa comunque avversario, straniero, nemico: e il nemico va schiacciato, soppresso, eliminato. 
Se non con le armi, con il sospetto, con la maldicenza, con la calunnia: dicerie e menzogne che – di bocca in bocca – diventavano sempre più grosse, più enfatiche, più esplosive. Succede così…
Il buon don Angelo se ne stava in chiesa, rimuginando amaramente quegli ultimi mesi, nei quali tutto il paese era finito nell’occhio del ciclone. Neanche lui era tranquillo: c’era chi lo vedeva fiancheggiatore del regime; ma quando si era impettito contro la prepotenza di un tenente della Wermacht, era quasi diventato l’idolo dei partigiani; salvo poi ricadere nella polvere per qualche strale lanciato dal pulpito.
Divorando a grandi passi la navata, don Angelo salì fino all’altare, dove era allestito il presepio, ancora senza il bambino.
  Qui gli vennero in mente le tante persone che avevano popolato quell’anno di vita parrocchiale.
  Dalla perpetua al buon sacrestano, e giù: parrocchiani, meno parrocchia
ni, gente che gli voleva bene e gente che non gliene voleva affatto; gli arrabbiati e i pavidi, i testardi e i malleabili. Volti che diventavano un rosario di amarezze, sciorinato nel silenzio di quella serata in quella chiesa fredda, in quell’inverno più freddo del solito, perché il freddo era calato soprattutto nei cuori della sua gente. Ma – si sa – le guerre fanno proprio così.
Don Angelo corse allora in sacristia a prendere la statuina del bambino. 
La prese tra le mani, la guardò, la osservò, la contemplò. Voleva dirgli tante cose… aveva proprio bisogno di dirgliele.
Gli sgorgarono dal cuore le parole del salmo 80: «Tu, pastore d’Israele, ascolta… Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza…».



Era proprio stato un anno di lacrime.
Strinse la statuina, quasi schiacciandola tra le dita e gli sussurrò le antiche parole della novena di Natale: Utinam dirumperes caelos et descenderes… Ah, Signore, qui ci sarebbe proprio bisogno che tu «squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti»; sussulterebbero le bande partigiane sulle colline attorno; sussulterebbero gli squadristi e anche i plotoni tedeschi.
Utinam dirumperes caelos et descenderes…
Si stava inarcando sul presepe per deporre la statuina, quando gli parve di avvertire una voce; non proprio, ma quasi una voce: «Ma io, don Angelo, ho già squarciato i cieli, sono già sceso quaggiù. 


Altare maggiore
Chiesa di Tisoi

Tu vorresti un Dio che mette in riga le cose, che scuote gli animi dei tuoi parrocchiani, che li rimetta in riga. 
Lo potrei anche fare, ma non è mai stato questo il mio stile: anzi, semmai sempre dall’altra parte. 
Non sono venuto sulla terra per schiacciare o dividere gli uomini, ma per condividere la vita degli uomini.
Ero con te in primavera, quando hai perso la Maria; ero qui d’estate quando la follia umana ha fatto strage sulle colline.
  E quando tu hai assaporato il pane di lacrime, io c’ero, io ero con te e lo sono stasera e lo sarò ancora…».
Al buon prete non restò che mettersi in preghiera, mentre una lacrima di consolazione gli scendeva dagli occhi. «Pace in terra agli uomini e alle donne, che Dio ama!». 
Buon Natale, don Angelo. Buon Natale, fratelli e sorelle.

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Realizzato con la collaborazione del Circolo Culturale "Antonio della Lucia"