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Voglia
di pace
Era il 24 dicembre del 1944. Ormai il sole era
sceso oltre l’orizzonte delle colline dell’Appennino. Dopo un pomeriggio
passato a confessare, don Angelo si attardava nella sua chiesa ormai deserta. Il
sacrestano quella sera era andato a casa, senza salutare: d’altronde, di lì a
poche ore avrebbe rivisto il parroco prima del mattutino; a casa lo aspettava la
famiglia per un cenone di natale che gli eventi rendevano parco.
Don Angelo a casa invece non aveva nessuno, perché Maria, la sua stagionata
perpetua, era andata via in primavera con un’epidemia di tifo.
Già: era
proprio cominciato così quell’anno, con quel lutto, antifona di una lunga
serie di disgrazie.
Il peggio era venuto all’inizio dell’estate e poi via fino all’autunno.
Erano i primi mesi accesi della resistenza. Quella maledetta guerra, di cui non
si vedeva ancora la fine, non aveva lesinato nel disseminare lutti e vendette,
dall’una e dall’altra parte. Imboscate dei partigiani da una parte;
rappresaglie dei tedeschi o dei repubblichini dall’altra; e anche qualche
vendetta privata.
Famiglie distrutte, quanta violenza!
In quali abissi sa protendersi la crudeltà
degli uomini. E oltre alla penosa ombra del lutto, sul paese si era stesa la
pesante coltre dell’odio, del sospetto. Succede sempre così, quando gli
uomini si schierano in fazioni: smarriscono le tante tonalità dei colori e
l’altro diventa comunque avversario, straniero, nemico: e il nemico va
schiacciato, soppresso, eliminato.
Se non con le armi, con il sospetto, con la
maldicenza, con la calunnia: dicerie e menzogne che – di bocca in bocca –
diventavano sempre più grosse, più enfatiche, più esplosive. Succede così…
Il buon don Angelo se ne stava in chiesa, rimuginando amaramente quegli ultimi
mesi, nei quali tutto il paese era finito nell’occhio del ciclone. Neanche lui
era tranquillo: c’era chi lo vedeva fiancheggiatore del regime; ma quando si
era impettito contro la prepotenza di un tenente della Wermacht, era quasi
diventato l’idolo dei partigiani; salvo poi ricadere nella polvere per qualche
strale lanciato dal pulpito.
Divorando a grandi passi la navata, don Angelo salì fino all’altare, dove era
allestito il presepio, ancora senza il bambino.
Qui gli vennero in mente le
tante persone che avevano popolato quell’anno di vita parrocchiale.
Dalla
perpetua al buon sacrestano, e giù: parrocchiani, meno parrocchia
ni, gente che gli voleva bene e gente che non gliene voleva affatto; gli
arrabbiati e i pavidi, i testardi e i malleabili. Volti che diventavano un
rosario di amarezze, sciorinato nel silenzio di quella serata in quella chiesa
fredda, in quell’inverno più freddo del solito, perché il freddo era calato
soprattutto nei cuori della sua gente. Ma – si sa – le guerre fanno proprio
così.
Don Angelo corse allora in sacristia a prendere la statuina del bambino.
La
prese tra le mani, la guardò, la osservò, la contemplò. Voleva dirgli tante
cose… aveva proprio bisogno di dirgliele.
Gli sgorgarono dal cuore le parole del salmo 80: «Tu, pastore d’Israele,
ascolta… Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza…».
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Era proprio stato un anno di lacrime.
Strinse la statuina, quasi schiacciandola tra le dita e gli sussurrò le antiche
parole della novena di Natale: Utinam dirumperes caelos et descenderes…
Ah, Signore, qui ci sarebbe proprio bisogno che tu «squarciassi i cieli e
scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti»; sussulterebbero le bande
partigiane sulle colline attorno; sussulterebbero gli squadristi e anche i
plotoni tedeschi. Utinam dirumperes
caelos et descenderes…
Si stava inarcando sul presepe per
deporre la statuina, quando gli parve di avvertire una voce; non proprio, ma
quasi una voce: «Ma io, don Angelo, ho già squarciato i cieli, sono già sceso
quaggiù.
Altare maggiore
Chiesa di Tisoi
Tu vorresti un Dio che mette in riga le cose, che scuote gli animi dei
tuoi parrocchiani, che li rimetta in riga.
Lo potrei anche fare, ma non è mai
stato questo il mio stile: anzi, semmai sempre dall’altra parte.
Non sono
venuto sulla terra per schiacciare o dividere gli uomini, ma per condividere la
vita degli uomini.
Ero con te in primavera, quando hai perso la Maria; ero qui
d’estate quando la follia umana ha fatto strage sulle colline.
E quando tu hai
assaporato il pane di lacrime, io c’ero, io ero con te e lo sono stasera e lo
sarò ancora…».
Al buon prete non restò che mettersi in preghiera, mentre una lacrima di
consolazione gli scendeva dagli occhi. «Pace in terra agli uomini e alle donne,
che Dio ama!».
Buon Natale, don Angelo. Buon Natale, fratelli e sorelle.
info@quadernibellunesi.it
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