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«In principio era il
Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio».
Parole che come un monumento si ergono nella liturgia di questo giorno
santo. Parole massicce, pesanti; parole imponenti scaturite dal cuore
grande e dalla feconda intelligenza di un uomo antico, di uno di quelli
che avevano «visto la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità», di nome Giovanni, di professione
evangelista.
Aveva conosciuto il Maestro in giovane età; lo aveva seguito,
probabilmente abbandonando una prospettiva economica sicura (l’azienda
del padre); lo aveva seguito anche nel momento più tragico della croce,
lo aveva visto spirare, lo aveva riconosciuto risorto, risvegliando la
coscienza del pavido Pietro:
«È il Signore».
Qualche decennio dopo, con la saggezza degli anni, con il bagaglio
di una solida cultura, ispirato dallo Spirito, Giovanni cantò:
quell’uomo è il Verbo di Dio.
È andato a cercare una parola forte, di quelle che sicuramente facevano
sobbalzare l’intelligenza di un qualunque uomo di media cultura del
suo tempo: quell’uomo è il Logos di Dio.
Cioè in quell’uomo mi si è rivelato tutto ciò che può far
ponte tra Dio e l’umanità, tra l’eterno e il tempo, tra il finito e
l’infinito, tra la materia e lo spirito. «Tutto è stato fatto per
mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste».
Questi ponti tra l’eterno e il finito: quanto li avevano cercati e li
cercavano i sapienti dell’antichità!
Giovanni poteva obiettare: non l’ho cercato; sono stato cercato
e trovato.
E quell’uomo era il Verbo, il Logos!
Bene, caro Giovanni… Ma oggi che cosa può volerci dire questo tuo
monumento di lessico e di riflessione, questa meraviglia che hai cantato
da vecchio, mentre ripensavi alla più grande esperienza della tua lunga
esistenza.
Caro Giovanni, io devo tradurla in qualche modo in parole che
parlino a me, che parlino al mio cuore e a quello di tanti fratelli che
oggi sono qui in chiesa.
Tradurre
è sempre un po’ tradire il vero senso delle parole.
Eppure questa parola – che in antico ha fatto vibrare l’animo
dell’evangelista e di tanti pensatori cristiani antichi – questa
parola deve parlare anche oggi, perché è Parola eterna.
Ci provo… Potrebbe essere trasmutata con una più vicina a noi:
«In principio era il senso… il significato»; aggiungiamoci
subito il versetto 14: «il Verbo (il senso) si fece carne e
venne ad abitare in mezzo a noi».
Insomma: quel bambino di cui oggi festeggiamo la nascita, della cui
contemplazione nel presepe il nostro sguardo si bea… non è soltanto
un bambino; quel bambino si propone come un senso, il
senso, il significato ultimo dell’esistenza, un
significato eterno: il Verbo era Dio.
Il problema è farlo capire, intuire a Simone, un giovane tormentato che
sta diventando il tormento di padre, madre e di tutto il parentado; per
le compagnie che frequenta, per le abitudini di vita che ha, per quell’astio
che gli ha preso verso tutto ciò che sa di chiesa.
Era il chierichetto modello, tutto casa e chiesa; era il fiore all’occhiello
del viceparroco… ma ora…
E io come pastore e noi come comunità ci interroghiamo: ma glielo
abbiamo mai detto che Cristo è il senso della sua vita? Gli abbiamo
dato sei anni di catechesi, la prima comunione, la prima confessione, la
cresima… ma glielo abbiamo mai detto? Chissà se oggi lo potrà
sentire e assaporare…
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Il Verbo si è fatto carne:
vorrei insistere anche con Giovanna; l’altro ieri mi confidava di
sentirsi così massacrata in questo ultimo periodo; e ne ha ben
donde.
Si è sentita tradita anche dagli amici. Solite storie che muovono da
una sciocchezza effettivamente commessa sono divenute – di bocca in
bocca – un macigno di calunnie, da cui non sa più come
difendersi.
Eppure il Verbo si è fatto carne anche per te, sorella: e ha provato
lui stesso il peso dell’umiliazione, del tradimento, del vilipendio…
Ti sussurra che in questo tuo male lui c’è, che ti è vicino.
Si è fatto carne.
Vorrei ribadire che il Verbo si è fatto carne anche per Stefano,
Romeo, Marta…, per i tanti cuori lacerati dal lutto e da sofferenze:
nello studio della canonica ne arriva una al giorno.
Questo bambino è un Verbo anche per voi.
E infine lo devo ribadire
a me stesso, me lo lascio dire dall’apostolo Giovanni: questo Gesù di
cui sei discepolo e ministro non è una dottrina, non è una morale, non
è un libro di storia antica.
È il Verbo, è il senso, è il significato di tutta l’esistenza. «In
principio era il Verbo»: è un senso per cui vale la pena vivere,
vale la pena soffrire, vale la pena spendere tempo, fatica, risorse, vale
la pena morire, per rinascere.
«In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini», scrive l’apostolo
che sapeva stare vicino al cuore del Maestro. Questa festa invita anche
noi ad andare oltre il bambino, a scorgere il Maestro, a vedere che in lui
è la vita e di questa vita abbiamo bisogno, di questa luce abbiamo
bisogno.
È la luce degli uomini, la nostra luce.
info@quadernibellunesi.it
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