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Insegnare religione nella scuola
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L'ignoranza della tradizione cristiana dilaga sempre più in tutto il paese sia tra i giovani che tra gli adulti, tra i non acculturati, come tra i colti: è l'ignoranza della parte assolutamente preponderante della cultura occidentale nei versanti dell'arte, della letteratura, della storia, della filosofia. 
Ma cosa si insegna a scuola?
 Abbiamo sentite un'insegnate: la prof.ssa Teresa de Bortoli

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D. Il primo articolo del testo unico legislativo in materia di istruzione garantisce “ la libertà d'insegnamento ”; lei si sente libera? Oppure la sua libertà è condizionata dagli studenti, dal Preside manager, dai genitori, dagli Organi Collegiali o dalla Chiesa?

Più rischiosi possono essere gli altri possibili condizionamenti da lei ricordati: genitori, presidi, Organi Collegiali; fortunatamente nella mia esperienza scolastica queste non sono presenze invadenti, ingombranti; certo si percepiscono nella mia scuola alcune voci contrarie alla presenza della religione cattolica (è la sua confessionalità a disturbare di più), ma in genere ricevo riconoscimento del mio ruolo di insegnante che contribuisce all’accrescimento culturale dei ragazzi: questo mi fa sentire libera nella mia azione.
Forse il maggior limite alla mia libertà di insegnamento mi arriva piuttosto da un più generale clima culturale, che “declassa” la religione nella scuola a disciplina di seconda categoria, e dalla poca rilevanza che essa ha nel percorso formativo degli studenti, basti pensare che nel curricolo scolastico essa è ridotta ad una trentina di ore nell’arco dell’anno, nella migliore delle ipotesi: davvero poco, soprattutto se ci si rapporta a ragazzi di 11/13 anni … altro limite è l’altissimo numero di studenti incontrati ogni settimana in media 350 ! questo sì mi fa sentire “costretta”, limitata o frustrata dal tanto che resta incompiuto.

R. Cosa si può intendere per libertà di insegnamento? Certo non è “fare/dire tutto ciò che si vuole senza limite e regole, o senza tener conto delle persone con le quali si ha a che fare”, quanto piuttosto poter operare delle scelte di metodi, di contenuti e soprattutto di stile (che tipo di persona/insegnante voglio essere) tra i molti possibili, a partire ovviamente da ciò che si ritiene importante, ma anche tenendo inevitabilmente conto dei ragazzi che si ha davanti: questo, se vogliamo, è un limite, un condizionamento (quante volte si è costretti a cambiare i propri piani in classe perché le persone che interpelli non “rispondono”!); per quel che mi riguarda questo non viene vissuto come una lesione alla mia libertà di insegnamento, ma come una occasione per ripensare alle mie scelte e valutarle, per quanto ciò possa essere faticoso.

D. Mi dicono che in molte scuole l'ora di Religione si è trasformata in un'ora di “ascolto” dei problemi dei ragazzi, è anche la sua esperienza?

R. Non proprio. Insegno nelle scuole medie, qui gli studenti non sempre hanno l’abilità di riconoscere e “raccontare” i loro problemi, o meglio i loro vissuti (forse perché li ascoltiamo poco?): credo che questa sia invece una condizione necessaria affinché imparino a guardarsi mentre vivono, e ad ascoltare le domande che sono in loro soffocate da un mare di cose; per questo mi sembrerebbe già una buona conquista riuscire a stimolarli per sentirli parlare di sé, facendoli andare oltre la semplice narrazione dei fatti vissuti. Ritengo sia importante ascoltare i ragazzi (è implicitamente come dire: “ci sei, riconosco che sei importante”), ma se l’ora di religione è solo questo allora sì è davvero limitante: l’ascolto deve essere l’avvio ad un confronto con la proposta cristiana, e con le altre possibili risposte ai problemi e alle domande che emergono; ci deve essere lo spazio per proposte e contenuti, cioè per l’insegnamento.

 
Michelangelo:Giudizio Universale

D.  Le ore disponibili sono poche, se si inseguono  i problemi pur importanti dei ragazzi, si finisce, di fatto, per negare  l'importanza della  propria materia. In questo modo l'insegnante non offre, forse, di se stesso un comportamento diseducativo?

 
 
 
 

R. Come ho già detto sopra, se l’IRC è solo questo è troppo poco, se ne nega il ruolo soprattutto di formazione culturale. Parlare di comportamento diseducativo degli insegnanti forse è eccessivo, credo che ci si debba calare nel concreto delle classi: mi è capitato di provare la sensazione di aver fatto e dato molto di più in ore di lezione passate ad ascoltare e a confrontarsi con i ragazzi che non altre in cui venivano presentati i contenuti. La disponibilità all’ascolto può inoltre favorire l’instaurarsi di un clima di reciproca stima e accoglienza anche affettiva, condizioni queste che rendono disponibili ad imparare e a motivarsi nell’impegno.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Leonardo.La Madonna Litta

 

Lei sarebbe d'accordo di trasformare l'attuale ora di religione in un'ora dove si insegni la storia delle religione?

 
 

R. C’è un vivace dibattito tra noi insegnanti di religione attorno a questo tema. Personalmente mi sento orientata verso una risposta negativa: impariamo prima a conoscere la nostra religione, nella sua confessionalità, e in questo percorso di conoscenza apriamoci pure al confronto con altre proposte religiose, filosofiche, culturali. Non a caso ho usato l’espressione “impariamo a conoscere” : un’ora alla settimana di religione cattolica a scuola può al massimo cercare di fornire degli strumenti per “leggere” il fatto cristiano (o religioso in generale). 
La constatazione dell’ignoranza sui temi della religione, che tanta parte ha nella cultura del nostro paese, è a volte sconfortante; così come frustrante è essere consapevoli delle immense possibilità di contenuti e temi che la religione cattolica ti apre davanti e il pochissimo tempo a disposizione per affrontarli: qualsiasi argomento che riguardi la religione cattolica ti permette un confronto con la nostra cultura e con il pensiero sull’uomo e le sue domande. Cerchiamo di conoscere la nostra religione, liberandoci da pregiudizi ed ignoranza e riconoscendo il contributo che dà alla storia

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  D. Il 12 settembre scorso il Papa nell'Aula Magna dell'università di Regensburg ha spiegato l'identità ebraica greca cristiana. Un discorso forte, impegnativo, non equivocabile: come insegnante di religione ha colto una naturale sintonia tra il pensiero del papa e la fede e la cultura diffusa della Chiesa Bellunese?
 
 
 
 
 

R. E’ una domanda difficile; potremmo rileggere i dati raccolti dalle indagini sinodali per disegnare l’immagine della nostra Chiesa bellunese. Personalmente non ho una conoscenza diretta sufficientemente ampia della nostra realtà.

Nel suo discorso il papa ci propone una riflessione sulla “ragionevolezza” della fede, dà valore alla teologia e alla filosofia come strumenti di conoscenza e di ragione, criticando l’attuale tendenza a considerare come validi solo le scienze positive e l’indagine empirica della realtà; inoltre riconosce alla fede anche il ruolo di “creare comunità”. Nell’opinione della gente comune mi pare che sia difficile riscontrare questa consapevolezza: più facilmente prevale una esperienza di fede-religiosità emotiva o devozionale, o una fede soggettiva adattata alle proprie esigenze personali, o ancora una fede occasionale, vissuta “accanto” piuttosto che “dentro” alla propria quotidianità. Certo è l’approccio culturale del nostro tempo ad aver “impoverito” il valore che si dà all’esperienza di fede e alle risposte che fornisce alle esigenze dell’uomo. Penso alla scuola dove mi pare diffusa la tendenza a non considerare la religione come opportunità di conoscenza ulteriore, trascurando i grandi interrogativi dello spirito che non riconducono a risposte empiricamente dimostrabili.

Penso alla scuola dove mi pare diffusa la tendenza a non considerare la religione come opportunità di conoscenza ulteriore, trascurando i grandi interrogativi dello spirito che non riconducono a risposte empiricamente dimostrabili. Credo ci sia tanto da fare anche nella nostra terra per mostrare che la ragione ha bisogno del “di più” della fede e che la fede è rivolta alla persona nella sua integralità.


Giambattista Tiepolo. L'eucaristia

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

D. La nostra fede si è certamente impoverita nell'esperienza vissuta e nella proposta culturale: le parole del Papa, forse, sono cadute in un terreno ormai arido. Che fare?

 
 
 

R. Dunque che fare nella nostra quotidiana realtà. Personalmente ritengo che la strada privilegiata per ridare alla fede il suo giusto posto nel contesto culturale, sia la testimonianza personale e convinta di ogni cristiano che si sente veramente tale, e cioè che si sente di appartenere, nella sua interezza, a Cristo, che è consapevole della ragionevolezza della sua fede e che è convinto che le esigenze dell’uomo siano proiettate in un “oltre” non dimostrabile scientificamente.
Attraverso gli incontri con le persone e la coerenza di vita si può rendere “vivo” e vero quanto il papa ci dice (è la sfida della nuova evangelizzazione che il messaggio del sinodo ci lancia). Nella scuola è fondamentale sollecitare le riflessioni con gli studenti: accogliere le loro provocazioni, che in parte riflettono il sentire delle loro famiglie, dare loro importanza e cercare di dare risposte motivate. 
Un importante servizio possono rendere non solo gli insegnanti di religione, ma tutti gli insegnanti che si sentono cristiani: penso agli insegnanti di scienze, di storia, di letteratura o di arte … a volte ho la sensazione che ci sia il timore ad esporsi nel proporre temi teologici proprio mentre si fa cultura. 
Forse possiamo ringraziare Benedetto XVI che ci sollecita a riflettere e a mettere in discussione un poco anche … le nostre titubanze!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Noè Zanette

 

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Quaderni Bellunesi. Laboratorio di cultura e politica della provincia di Belluno

Realizzato con la collaborazione del Circolo Culturale "Antonio della Lucia"