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Laboratorio
L'intervista In
morte di Celeste
Politica B.I.M.
Arte
Chiesa
Narrativa
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Laboratorio
di politica e cultura |
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Pubblichiamo, per
gentile concessione, un articolo di Giuliano Ferrara apparso sul
"Foglio" perché ci sembra introduttivo
al dibattito che "dovrebbe" coinvolgere laici
e cattolici dopo il Convegno di Verona e il Sinodo provinciale. Atto terzo del Laboratorio |
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La lettera di Giuliano Ferrara al Card. Tettamanzi |
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Eminenza Tettamanzi, arcivescovo di Milano, da molto tempo una parte della chiesa impegna le proprie energie a polemizzare, ammonire, mettere in guardia i fedeli da un pericolo: ci sono dei laici, si dice, e perfino degli atei, che invece di convertirsi e condurre una vita cristiana nelle parrocchie, svolgendo la funzione propria del laicato cattolico secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e nel quadro della dottrina sociale della chiesa, tirano in ballo Dio e abusano del nome di Cristo Gesù per scopi poco chiari, presumibilmente politici nel senso più deteriore e partigiano del termine, contraddicendo ogni ottimismo, ogni speranza, ogni senso della differenza cristiana che è fatta di spirito di accoglienza, di fraterno dialogo tra le religioni, di amore e di pace fra tutti gli uomini di buona volontà.
Nella sua prolusione a Verona, Ella ha riassunto questo monito nell’affermazione,
paurosamente tautologica e dunque vuota di senso nonostante la santa
attribuzione antiochena, che è "meglio essere cristiani senza dirlo
che proclamarsi cristiani senza esserlo". Se l’alternativa fosse
tra un cristianesimo muto e un cristianesimo impostore, lei avrebbe
ragione nello scegliere l’umiltà privata della vita cristiana che perde
la parola e rifiuta la cultura, ma il Suo encomiabile ottimismo
antropologico, la Sua convinzione che la dimensione della crisi
contemporanea vada superata con atti e iniziative di buona volontà nel
solco di una dottrina conciliare impermeabile alla storia in cammino, e a
volte anche in corsa con la perdita di senso, si darebbe la classica zappa
sui piedi Ci sarebbe poco da stare allegri. Anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Ruini, ha manifestato un sereno e distaccato interesse, più volte, per le convergenze possibili, in materia di ragione laica inclusiva del ruolo pubblico della fede, in materia di criteri etici non negoziabili, con quelle tendenze "culturali" che nel mondo occidentale e particolarmente in America e in Italia (ma la Francia sta prendendo anch’essa lo slancio) si vanno affermando con modalità e a stadi di sviluppo diversi.
Se il Suo discorso contro l’impostura pseudocristiana
riguardasse politici maldestri, come il presidente
del Senato nella scorsa legislatura, che hanno invocato l’amicizia
degli ecclesiastici, e perfino del Papa, a scudo protettivo per
beghe di cortile politico in quel di Lucca, si abbia tutta la nostra
comprensione, ma è un de minimis che ci farebbe soltanto
perdere tempo. Se invece nelle Sue parole si riverberasse una scelta
favorevole al cattolicesimo cosiddetto democratico, quello che con un
linguaggio durissimo censurava ieri un ex presidente della Repubblica
noto per In ogni caso, per quanto conti, noi nel nostro
piccolo non c’entriamo
un bel nulla con queste fobie, imposture e mascheramenti. |
Ci sembrò interessante
la "Dominus Iesus", e la pubblicammo perché se ne
discutesse. E abbiamo avviato con un po’ d’anticipo polemiche sapide sullo zapaterismo, sul mondo incantato e perduto di un poeta come Almodóvar, quel cervantino senza Cervantes che ha dato il suggello estetico necessario al progetto di scristianizzazione totale della famiglia e del matrimonio, fino alla derubricazione zapaterista dei nomi di moglie, marito, padre e madre, sostituiti da coniuge A e B e progenitore A o progenitore B. |
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Ci stimolano le
esperienze del laicato movimentista, quelle di alta pedagogia e
modernissime di un don Giussani, ma anche quelle orientalistiche di un
Sant’Egidio o i carismi febbricitanti che parlano di un’apostasia
dell’Europa da combattere (neocatecumenali) |
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Ma ci piace
anche discutere con i suoi critici, ammiriamo la cocciutaggine conciliare
della scuola di Bologna, l’erudizione in fatto di storia cristiana dei
suoi maestri e allievi, spaziamo liberamente e criticamente dove ci porta
la testa, se non il cuore. Abbiamo poi, e
mal ce ne incolse per via degli interessati travisamenti politici
conseguenti, difeso il diritto di un cattolico a fare il commissario
europeo confine tra morale e legge nell’esercizio delle sue funzioni
pubbliche. E se proprio un vincitore avesse da
esserci, vincitrice ha da essere quella civiltà che incorpora, secondo la
lezione di Regensburg, ebraismo, grecità e cristianesimo in un concetto
di persona e di diritto compatibile con una società aperta. |
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Giuliano Ferrara |
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