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Il
silenzio colpevole dei nostri politici
Da un po' di tempo nel
Veneto, di montagna non si sente più parlare.
Passato il clamore dei
referendum, uno spesso silenzio è sceso sull'argomento, riguardato
dalla grande stampa e nei salotti della politica con distrazione e
fastidio.
Certo, l'aver impostato la questione soltanto sulla
rivendicazione economica non ha giovato alla causa, banalizzata alla
stregua di una semplice contabilità finanziaria, del dare e dell'avere.
Guardando al passato, ben diverso era il progetto politico
che nel Quattrocento sostanziò le dedizioni delle città terrafermiere
a Venezia.
Esse infatti contrattarono la loro aggregazione salvando
l'autonomia amministrativa ed il governo delle risorse, mentre
rinunciavano alla responsabilità sulla moneta, la difesa e gli affari
esteri.
Ancora più consapevole e audace fu la
posizione delle comunità alpine che tra il Cinquecento e l'Ottocento
liberamente deliberarono di lasciare la Borgogna, il Ducato di Milano,
la Savoia e l'Impero absburgico per dare vita alla Confederazione
elvetica.
Esse misero in disponibilità solo quanto occorreva alla
comune sopravvivenza, mantenendo intatte le competenze e salvi i poteri
dell'ente locale.
Un pensiero debole sembra avere quindi caratterizzato,
nella recente battaglia per la sopravvivenza, l'azione della montagna
veneta, divisa da interessi locali, priva di lungimiranza ideale,
incapace di una visione prospettica unitaria.
La diseguaglianza rispetto
alle aree limitrofe, dotate di statuti speciali ed la comparazione con
la sottostante pianura, avvantaggiata da una forte organizzazione
urbana, determinano infatti una giusta denuncia dell'ingiustizia.
Ma il
lamento, la rivolta contro la disparità devono essere accompagnati da
una proposta alternativa, cioè ad un tempo istituzionale, economica e
territoriale, che riguardi l'intero sistema montano dal Garda al
Cansiglio, dalle Dolomiti agli Altopiani.
Una nuova ipotesi che assuma
le omogeneità e le differenziazioni, le affinità ed i contrasti in una
sintesi generale.
Le Alpi e le valli, le Prealpi e gli Altopiani sono
caratterizzati da una accentuata diversità fisica e antropica, cioè da
un rapporto peculiare tra la società e l'ambiente.
Ciò significa che
ogni luogo è segnato da una propria storia e da una propria geografia.
Sarebbe quindi un errore considerare la montagna veneta come una zona
omogenea, poiché nelle diverse zone si sono svolte vicende specifiche
che hanno interessato veneti e ladini, cimbri e germanici.
Questi nelle
aree del loro insediamento hanno dato vita a culture, aggregazioni,
economie, paesaggi molto articolati dal punti vista morfologico e
sociale.
Si pensi all'assetto urbanistico delle grandi valli (Valdadige,
Valbrenta, Valbelluna) al paesaggio degli acrocori (Asiago, Lessinia,
Alpago), alla disseminazione insediativa nell'area dolomitica. Qualsiasi
proposta di riassetto istituzionale deve tenere conto della specificità/identità
di ogni sottosistema e deve considerarle come una risorsa da gestire in
regime di autonomia/sussidiarietà.
Come faceva la Repubblica di Venezia
con le Magnifiche Comunità, le Spettabili Reggenze e le altre strutture
dell'autogoverno locale.
E' questa la via seguita da tempo in Svizzera e
in Austria, stati di passo dove la solidarietà del paese si esprime
mediante un contributo alle aree più gracili e disagiate, ma nel quadro
di un sostegno a progetti di sviluppo, non nei termini del sussidio e
della elargizione.
Paul Guichonnet, il grande studioso ginevrino dei
problemi della montagna, aveva descritto il piano per il Vallese, il
cantone più debole della Svizzera, dove l'azione combinata per lo
sviluppo non consisteva in una distribuzione a pioggia di contributi, ma
in un progetto strategico basato sulla responsabilità e il
coinvolgimento, anche sul coraggio e la cooperazione delle componenti
interessate.
Ancora la Repubblica di Venezia ci può insegnare qualcosa,
se si considera che essa aveva zonizzato, cioè precisato le colture e
le produzioni locali da proteggere e incentivare.
Come otteneva la
canapa dalla bassa padovana e il riso da quella veronese, così venivano
privilegiate l'estrazione mineraria, la coltura del legno, la produzione
di carbone, lana, carne e latticini nel Feltrino, nel Bellunese e nelle
valli interne del Cadore e dell'Agordino.
Venezia si limitava a
proteggere le attività economiche con un distaccamento armato agli
ordini di un capitano o di un podestà, ma lasciava l'esercizio
dell'impresa all'iniziativa privata, talché emerse una borghesia
locale, una nuova classe dirigente, attiva e fedele alla Serenissima.
Quella della classe
dirigente appare quindi come una questione centrale.
E' questa che deve
crescere e darsi carico di un progetto politico audace, che trasformi lo
svantaggio in una opportunità.
La teoria economica infatti ci ricorda
che le imprese assistite sono anche le più gracili. Sembra questa la
ragione per cui la grande imprenditoria del nord-est, quella dei
Benetton, Zoppas, Del Vecchio e di tanti altri capitani d'industria, è
emersa proprio nelle zone esterne a quelle favorite da statuti regionali
incentivanti. L'ultima di quelle citate riguarda appunto un settore,
l'occhialeria, che sembra aver ripetuto la vicenda svizzera
dell'orologeria, dove si è privilegiata la specificità locale.
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La soddisfazione del
Circolo Antonio Della Lucia
Soddisfazione e
compiacimento per l'articolo di Franco Posocco sul Gazzettino de
27 agosto e qui a fianco riprodotto.
Finalmente, si poteva pensare, i nostri consiglieri regionali, i
partiti di questa provincia avrebbero potuto, leggendo l'articolo,
misurare la propria insipienza e rimettere a tema i discorsi sul futuro
della nostra provincia
Mai una voce così autorevole, come è quella di Franco Posocco, ha
denunciato il fallimento, di fatto, di una politica che porta i nomi di
Dario Bond e Guido Trento, di Sergio Reolon e in tono minore ( ma non
per merito suo) di Bottacin e lo ha fatto non in termini
politici, ma culturali.
Onore
al Gazzettino di aver aperto con Posocco un dibattito così
importante.
Si poteva pensare che il giornale sarebbe stato, addirittura, in
difficoltà per i "tanti" che avrebbero voluto intervenire.
Ma è stato silenzio.
Un silenzio indegno!
Un'ulteriore testimonianza che quello della classe politica
potrebbe essere il vero problema della nostra Provincia.(C.A.D.L.)
Servono
quindi orgoglio e determinazione, anche coraggio e consapevolezza del
metodo e del fine. L'innovazione e la formazione appaiono strategiche a
tale riguardo, così come l'attenzione ai giovani e alla cultura. La
spesa istituzionale va drasticamente ridotta. Molti si sono chiesti,
quando si dibatteva del destino delle Comunità Montane, per quale
ragione non sia stato insieme proposto di aggregare i comuni riducendone
il numero (ed il costo). Nell'Agordino vi è un microcomune dove c'è il
municipio, ma non più la parrocchia. La Chiesa è veloce nell'intendere
i tempi: la parrocchia è stata infatti unificata con quella del comune
limitrofo.
Perché non ricostituire regole e usi civici in tante zone
alpine?
Potrebbero svolgere una azione stabilizzatrice e ordinatrice,
con maggiore equità di quanto non faccia il maso chiuso tirolese.
La
montagna veneta è la protezione del Veneto ed insieme l'area di
complemento della concentrazione urbana.
Ciò significa che la montagna
è anch'essa città a pieno titolo, ma va governata dalle sue
popolazioni secondo progetti non puramente assistenziali, ma rivolti al
futuro, integrati settorialmente, dotati di tecnologia.
Un dibattito nuovo,
aperto e coraggioso attende quindi la montagna veneta.
Una occasione
preziosa è data dalla formazione del nuovo Piano Territoriale Regionale
al cui documento preliminare la montagna non ha contribuito come ci si
sarebbe aspettati.
Occorre una proposta costruttiva di nuovi orizzonti
secondo i lineamenti della Convenzione Europea delle Alpi, sottoscritta
dall'Italia, ma sovente dimenticata.
La secessione sembra un gesto
disperato, ma l'averla evocata, può forse determinare una riflessione
più matura e consapevole, nei montanari ed in quelli che abitano le
aree sottostanti.
Una riflessione che motivi la solidarietà, eviti gli
sprechi, integri le prospettive, susciti una speranza, costringa alla
responsabilità. Soprattutto assegni autonomia e con questa desti la
fierezza di chi è abituato a superare le difficoltà credendo in un
destino comune da costruire con sacrificio e determinazione.
Franco Posocco
27 agosto 2008
info@quadernibellunesi.it |