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Natale 2009 a Cortina
Questo sarà per voi il segno:
 troverete un bambino avvolto in fasce,
adagiato in una mangiatoia.
L'omelia della Messa
nella Notte  del decano don Davide Fiocco 
.

 

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Abbandonare i recinti delle nostre sicurezze

L’antica promessa, rivolta dall’angelo ai pastori, viene affidata anche a noi stasera: «Troverete un bambino». Lo sapevamo già, ma ce lo lasciamo ripetere: stasera siamo qui per cercare un bambino. Solo che il verbo "trovare" presuppone una ricerca previa, un cammino, un esodo. I pastori dovettero soltanto abbandonare i focherelli dei loro bivacchi o forse alcune capanne di fronde, che avevano costruito per difendersi dall’umidità della notte. 
Per noi la partenza è molto più lacerante: non basterà essere usciti di casa stanotte, per trovare quel bambino. Ci viene chiesto di abbandonare i recinti delle nostre sicurezze, i calcoli delle nostre prudenze, tutto ciò in cui siamo sempre validi conservatori. La proposta è un viaggio faticoso, un salto nel buio. Non è solo ripercorrere a ritroso oltre venti secoli di storia; non è solo rileggere il racconto evangelico, nell’intento di ritrovare nelle vicinanze di Betlemme le origini del cristianesimo. È qualcosa di più impegnativo: perché meta della nostra ricerca non è un Dio glorioso; ma soltanto una serie di segni, tutti da interpretare e accettare: a cominciare da quel bambino, un bambino inerme, simbolo di chi non può vantare alcuna prestazione; un bambino che può mostrare, soltanto piangendo, la propria indigenza. Un bambino avvolto in fasce, simbolo del nascondimento di Dio; fasce o bende che velano la sua presenza; fasce che – a ben guardare – si fanno minaccioso presagio di altre bende, che veleranno quel corpo, quando sarà uomo fatto e saranno ritrovate nel sepolcro, quando lui avrà sconfitto la morte. 

Ma… dobbiamo pur dircelo: di quante bende è ancora velato il volto di Cristo? 

Volti di uomini che nella vita non trovano pace, volti di uomini e donne cui non è riconosciuta dignità, volti di povertà materiali e spirituali, nei quali ancora incontriamo Cristo, se pur ci lasciamo ferire il cuore da questa presenza di Dio nascosta, spesso fuori di sacristia. 
È un bambino deposto in una mangiatoia, segno della debolezza e della povertà di Dio; insieme alla croce è il simbolo rovesciato della sua carriera. Ma la mangiatoria è anche simbolo del nostro possibile rifiuto, perché «è venuto fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto». 
Questo Dio non commette mai alcuna violazione di domicilio: sempre bussa e chiede posto in punta di piedi. E noi possiamo chiudergli la porta, relegarlo nella mangiatoia, visto non c’è posto per lui nei sicuri alberghi del nostro orgoglio, della nostra sicumera di uomini fatti. Questa debolezza di Dio, questa povertà di Dio mi interroga. E mi pone una domanda: perché Dio ha deciso di spiazzare tutti manifestando la sua gloria nei segni del non-potere, della non-violenza?
La risposta – mi pare – sta nel guardare a quelli che hanno accolto questa manifestazione: «C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge». 


Questa volta tocca ai pastori

Già, i pastori… A noi sembrano persone che hanno avuto un privilegio; certo, povera gente, ma noi li guardiamo con ammirazione. Eppure la loro reputazione in Israele era pessima: erano ritenuti inaffidabili, visto che non andavano per il sottile quando si trattava di distinguere tra il proprio e l’altrui terreno; del resto, ben si sa che le pecore non rispettano i confini. Erano gente che non rispettava le feste sacre, erano sporchi come accattoni, erano inadatti a prestare una testimonianza nei tribunali. Eppure gli angeli e Dio stesso li ritengono affidabili, pronti per quella straordinaria rivelazione, destinata poi a farsi testimonianza, una volta che «tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto».
Ed ecco che in questi amici pastori ci specchiamo anche noi. Io almeno mi ci specchio. Dio non chiede credenziali né affida le sue grandi verità a chi esibisce il certificato di "buona condotta". Stasera siamo qui e ci guardiamo nell’animo: forse riconosciamo qualche peso, che diventa ritrosia ad affacciarci a quella grotta; forse c’è anche quel senso di indegnità – che è pur buona cosa – ma che ci impedisce il salto della fede. Coraggio, allora: anche i pastori erano ritenuti inaffidabili. 
Ma Dio li ha resi testimoni di sé.

 


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«Dio è come il mare; sorregge chi gli si abbandona»

Nell’abbondante aneddotica natalizia c’è un singolare racconto: un pastore, di nome Joshuà, si precipitò alla grotta e vide quanto sappiamo… Notò che la Madonna e san Giuseppe avevano un gran da fare a sistemare pannicelli, vivande, omaggi che molti colleghi portavano al Bambino. Erano indaffarati, attorniati da questa folla di povera gente. Il buon Joshuà però era accorso in fretta, senza portare nulla e cominciava a vergognarsi di questa sua inadempienza. Se non che la Madonna, assai imbarazzata da tutta quella folla, gli fece un cenno e gli disse: "visto che io non so più come fare e tu hai le mani libere, tienimi il Bambino!".È solo una storiella, ma è piena di verità. E se volete, ce lo conferma un poeta, laddove scrive: «Dio è come il mare; sorregge chi gli si abbandona» (Guido Morselli, Diario, 1988). In questo senso, mi auguro di fare un buon Natale, con le mani vuote di me, capaci di accogliere Gesù.

Don Davide Fiocco
Cortina 25 dicembre 2009

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Realizzato con la collaborazione del Circolo Culturale "Antonio della Lucia"