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Natale 2008. Cortina: L'omelia della messa nella notte.
E in fondo gli uomini hanno sempre pensato così: 
che, cioè, solo chi è forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la pace e benessere.
(don Davide Fiocco)

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Troverete un bambino…

Non posso, non riesco a nascondere la gioia di essere di nuovo qui, in questa chiesa, restituita al splendore originario: è una gioia oltre che una soddisfazione. Isaia ci ha detto nella prima lettura: «Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda»: immagini un po’ lontane dalla nostra sensibilità moderna, eppure rigurgitanti di una soddisfazione, di cui quella che abbiamo provato stasera entrando in chiesa è solo un pallido barlume.
Ma perché gioire in questa notte?

Puer natus est nobis, un bambino è nato per noi, risponde subito il profeta.

Obiezione: tutti i giorni, in ogni secondo nascono bambini? Certo, ogni nascita è un motivo di gioia e di speranza: per la puerpera, per il padre, per tutti quelli di casa. Ogni bimbo è segno di speranza per noi e – in fondo – per Dio stesso: ogni neonato è segno indiscusso che Dio non è ancora stufo di noi uomini.
Ma il bambino di questa notte – sempre secondo Isaia – porta altri motivi di gioia.

«Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà… Dio potente,… Principe della pace… Grande sarà il suo potere… la pace non avrà fine … egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia…».

In quest’anno dobbiamo sottolineare anche le parole di san Paolo: «è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini». E allora questo bambino porta allora una novità.Ma poi ci addentriamo nel brano del vangelo e ascoltiamo:

«Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

E qui ci fermiamo, disarmati.
Queste parole racchiudono un paradosso: da quella nascita l’antico profeta si attendeva altre cose: gioia, pace, giustizia, salvezza, stabilità per il trono di Davide. E invece le profezie ci conducono, mano nella mano, davanti a un bambino in una stalla, davanti a un concentrato di debolezza, di impotenza e di povertà. A completare il quadro Maria e Giuseppe, due giovani sposini per i quali non c’è mai posto nell’albergo. La pace e la giustizia per tutto il mondo da uno che non ha avuto neppure una casa per nascere…In quegli anni, altri annunciavano pace e giustizia. Ottaviano Augusto per esempio: l’evangelista lo nomina qui, evocando la potenza e lo splendore della Roma imperiale e così ha creato il più forte contrasto con quel neonato, venuto alla luce in quell’oscura borgata di Giudea, Betlemme, terra di Efrata. Anche Augusto si faceva chiamare sotèr, salvatore e principe della pace. Ogni imperatore, dopo di lui, coniò sulle monete il suo titolo
restauratore del mondo”, “atteso delle genti”, “restitutore della luce”. E in fondo gli uomini hanno sempre pensato così: che, cioè, solo chi è forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la pace e benessere.
Ma in quella notte, Dio ha rovesciato queste ataviche convinzioni. «Dio – scriverà san Paolo 50 anni dopo – ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti». (1Cor 1, 27). E che cosa è più stolto per il mondo della povertà; che cosa è più debole di un bambino? Ecco il senso di quel segno: un bambino in una mangiatoia.Solo un Dio veramente Dio poteva ipotizzare un simile rovesciamento della logica umana; solo lui poteva dire “no” a ciò che gli uomini hanno sempre ritenuto importante: ricchezza, potere, onori, autorità… Noi non ci saremmo mai arrivati. Eppure è quello che ci viene detto stanotte: Tu, o Dio, hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli: sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. I grandi, i potenti, i forti, non ti fanno paura; tu hai confuso i sapienti e i forti e questo è il segno: un bambino in una mangiatoia.
Avresti potuto nascere a Roma, come figlio del potente di turno. Del resto, così era stata immaginata una famosa nascita nella Quarta Egloga virgiliana: Ultima Cumaei venit iam carminis aetas… iam redit et virgo, redeunt saturnia regna… Sarebbe stata anche quella un’incarnazione; «vero Dio e vero uomo» anche nella reggia del grande Pollione, che aspettava insieme al poeta quel figlio tanto sospirato. Ma Dio avrebbe sottoscritto ciò che gli uomini avevano sempre pensato: niente di nuovo sotto il sole.Invece per te, o Dio, oltre che farti uomo, era importante farti povero e umile. E così hai dato speranza ai derelitti, a quelli che non contano. Ci hai dato una speranza “che sarà di tutto il popolo”. Dai speranza anche a quella donna, che si sta separando dal marito e non sa dove sbattere la testa. Vuoi dare speranza anche a quel mio amico, ingarbugliato nei debiti perché la banca gli ha chiuso la porta. Vuoi dare speranza a quella ragazza, che aspetta un bambino e non ha coraggio di dirlo al suo fidanzato, ancora ignaro di essere padre. Dai speranza a quel padre, il cui figlio si canna ogni sabato sera… Dai speranza a chi ognuno di noi sa identificare, forse con se stesso. Dai speranza, perché se c’è qualcosa non ha una dignità più grande di una mangiatoia, lì tu ci sei.
E hai dato speranza anche a me, che talvolta mi sento così come sono: ma tu lì, in quella mangiatoia, il più grande segno di speranza. Grazie, Gesù.

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don.davide@parrocchiacortina.it

 


Cortina
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E in fondo gli uomini hanno sempre pensato così: che, cioè, solo chi è forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la pace e benessere.
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Vuoi dare speranza a quella ragazza, che aspetta un bambino e non ha coraggio di dirlo al suo fidanzato, ancora ignaro di essere padre. Dai speranza a quel padre, il cui figlio si canna ogni sabato sera…

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