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Et vidimus gloriam eius
Alcuni giorni fa,
ricevo una mail da un giovane, che chiamerò Alex, con un nome fittizio
per garantirgli l’anonimato. Gli era stato chiesto di essere presente
la notte scorsa come chierichetto, nel nobile servizio dei dodici.
Nobile forse un tempo, adesso piuttosto boicottato perché altre
attrattive sono più allettanti.
Ad ogni modo, per giustificare la sua assenza scrive: «…poi, scusa,
don…, ma – a conti fatti – sono almeno otto volte che partecipo
alla messa di mezzanotte… Sempre uguale: lo stesso Beata viscera, lo
stesso Transeamus, per il quale ormai, se non fossi stonato come una
campana, potrei comodamente dare man forte alla Schola cantorum …
Sempre lo stesso Gloria con le campanelle a distesa, il Credo, e
soprattutto sempre le stesse facce… Spegni le luci, riaccendi le luci,
canta il Gloria… Surgite, sedeant e arriva l’una e un quarto… C’è
un senso di stantio nella liturgia; un che di vecchio».
E mi sono interrogato sulle nostre responsabilità di noi adulti e di
ecclesiastici, aggrappati a coreografie e parole che ci sembrano eterne
e irrinunciabili, ma sono talvolta incapaci di comunicare la fede alle
giovani generazioni, addirittura a giovani che – pur controvoglia –
in chiesa ci vengono, almeno per onorare il servizio liturgico.
Però non voglio darla vinta così facilmente al buon Alex, almeno per
quel po’ di orgoglio che mi rimane. E allora ho pensato a questa
chiesa, alle mura di questa chiesa… Fino a qualche mese fa, erano
sporche, impregnate della caligine di candele e dei residui dell’incendio
del 2001… C’erano crepe, alcune piuttosto preoccupanti… Che fare?
Buttiamo via tutto? Costruiamo una chiesa nuova?... No… è stato molto
più esaltante restaurare. E qui c’è stata la curiosità di imparare
dai tecnici, dalle maestranze. Sarebbe molto più facile tinteggiare
sopra allo sporco, coprire di tempere e vernici i residui dei secoli. Ma
quello non è restauro: con buona pace di chi lo esercita per
professione, è l’opera dell’imbianchino, da bassa manovalanza della
tinteggiatura. E lo dico con cognizione di causa, visto che le estati da
liceale me le sono passate o tra i cavi elettrici o tra i pennelli dell’imbianchino.
Quello non restauro: è coprire, nascondere, velare. Restauro è pulire,
è togliere lo sporco, per risalire allo strato primigenio, anche se mi
riporta alle ombre di una tinteggiatura antica, ma originale. Restauro
è salvare quanto di bello resta, e metterci una mano delicata che solo
integra, aggiusta, sana, ma non viola. Ecco… Lo stesso vale per queste
nostre liturgie, per questo giorno. Non basta una mano di novità, un
ritocco superficiale, una tinteggiatura. Caro Alex, dobbiamo andare a
fondo, ripulire questa liturgia e tornare laggiù, a Betlemme e guardare
a quel bambino. È solo un bambino, è tenero, è dolce… ma è il
Figlio di Dio. E se Dio fa qualcosa nella storia lo fa per sempre. Il
problema è trovare il linguaggio per dirlo a te, giovane sommerso di
così tante possibilità di comunicazione, sicuramente più colorate dei
neumi gregoriani, del profumo dell’incenso, di coreografie liturgiche
che forse piacciono tanto a noi preti, perché le abbiamo viste sempre
così. Tu passi come nulla dal web agli MP3, da outlook ai sms.
Però ti chiedo di ascoltarmi in questo. Pensa che tuo nonno ci ha
creduto per ottant’anni, che ha goduto di quelle stesse parole, di
quelle medesime note. In fondo, quel rituale antico è come il favo
delle api. Le api ci ronzano attorno, prendono un po’ di nettare, ma
ne lasciano altrettanto. E così è la liturgia della Chiesa: qualcuno
ha pregato prima di me con queste parole, qualcuno ha lasciato tracce
della sua fede. E io le assaporo: prendo qualcosa e spero di lasciarci
qualcosa. Ma soprattutto, caro Alex, cerca di cogliere il senso di
queste parole. È quello che conta di più. Cerca di scorgere, oltre un
linguaggio che sembra desueto, quello che viene detto anche a te, forse
un po’ troppo pieno di vita per capire cosa vuole dire “redenzione”,
cosa vuol dire “salvatore”, cosa vuole dire “Gesù”.
Vuol dire che di quel bambino noi abbiamo bisogno. Proprio stanotte mi
colpivano le antiche parole di san Giovanni cantate dalla Schola:
«Et vidimus gloriam eius, gloriam quasi
Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis».
Abbiamo visto la sua gloria… Guarda là quale gloria! un bue e
un asino come termosifoni; una greppia come culla; una ragazza di basso
rango come madre… Eppure in quel bambino c’è l’eterno, c’è un
senso, è pieno di grazia e di verità.
Ti capisco: a 16 anni sei così pieno di vita; credi che la verità sia
quello che tu e i tuoi amici pensate. Ti faccio la morale…: passeranno
i venti e i trent’anni. E ti accorgerai che la verità è sempre più
in là di te. Purtroppo anche tu dovrai passare per il collo della
bottiglia e assaporare qualche pugnalata, qualche trabocchetto di cui è
disseminato il cammino. Nessuno sconto neanche per te. Ma ti auguro di
assaporare allora il motivo per cui oggi abbiamo bisogno di ripetere,
pur con parole che ti sembrano vecchie, che Dio è diventato come noi, e
ha condiviso questa vita
Buon Natale, Alex.
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don.davide@parrocchiacortina.it.
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Cortina Chiesa
parrocchiale
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Cortina
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E così è
la liturgia della Chiesa: qualcuno ha pregato prima di me con queste
parole, qualcuno ha lasciato tracce della sua fede. E io le assaporo:
prendo qualcosa e spero di lasciarci qualcosa.
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Cortina
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Ti capisco: a 16 anni sei così pieno di vita; credi che la verità sia
quello che tu e i tuoi amici pensate. Ti faccio la morale: passeranno
i venti e i trent’anni. E ti accorgerai che la verità è sempre più
in là di te. .
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info@quadernibellunesi.it
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