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mondo politico bellunese e i mass media ormai da anni sono impegnati
allo spasimo per rivendicare alla Regione Veneto uno statuto
regionale dove per la provincia di Belluno venga scritta
la parola magica specificità.
Noi crediamo che questo impegno avrebbe ottenuto un diverso e più
importante successo se fosse stato preceduto da un nuovo statuto per
la provincia di Belluno, capace di esaltarne l'identità e la
ricchezza umana e ambientale, ma anche l'unicità di vallate e
comprensori e la diversità tra i paesi in quota e quelli della
Val Belluna.
Ma non è mai troppo tardi.
Noi con Francesco Dematté cercheremo, in questo secondo tratto di
storia bellunese, che segue quello dedicato all'età
paleoveneta, di
porre di questo statuto che rivendichiamo con forza le basi storiche |
Feltre Zona Archeologica
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Come abbiamo
già scritto nel precedente capitolo dedicato all’età paleoveneta,
gli antichi Veneti appaiono amici e alleati dei Romani.
Nel 225 a. C., per esempio, furono dalla parte dei Romani contro i
Galli e la cosa si ripetè al tempo dell’invasione di Annibale.
Nel 181 a.C. fu fondata la colonia latina di Aquileia, data simbolica
dell’inizio della romanizzazione della parte nord-orientale della
Penisola e, quindi, anche del nostro territorio.
Fu solo molto più tardi, tuttavia, che la provincia entrò stabilmente
a far parte della Res publica romana dal punto di vista politico
e giuridico.
E’ infatti probabilmente da fissare al tempo di Giulio Cesare, cioè
agli anni quaranta del I secolo a.C. – ma per la città di Belluno
alcuni storici parlano di un’età successiva, quella augustea –, la
romanizzazione del territorio bellunese con la costituzione di tre
differenti municipii:
Belluno (Bellunum) con il suo
territorio, che comprendeva la parte orientale della Val Belluna sino a
raggiungere Castellavazzo (Castellum Laebactium), Zoldo, l’Alpago,
l’Agordino;
Feltre (Feltria), la quale estendeva i suoi
confini sino alla restante parte, quella occidentale, della Val Belluna,
ma che arrivava a includere anche tutto il Primiero e gran parte della
Valsugana;
il territorio dell’attuale Cadore – che, come è
noto, prende il nome da Catubrium, da cui anche Catubrini
– faceva invece parte del municipium di Iulium Carnicum (l’attuale
Zuglio, poco sopra Tolmezzo, nella valle percorsa dal torrente
But, affluente del Tagliamento).
I municipii venivano ascritti a una delle 35 tribù in cui, nei
comizi tributi, era diviso il popolo romano, con l’attribuzione
automatica alla loro popolazione del privilegio della cittadinanza
romana: le tribù erano insomma una sorta di distretto elettorale.
Belluno venne inserita nella tribù Papiria, Feltre nella Menenia,
il Cadore nella Claudia.
E’ interessante notare che questa differenziazione di
attribuzioni alle tribù rivelava la diversità, come nota Plinio il
Vecchio nella sua Storia Naturale, dell’origine etnica delle
genti che abitavano la nostra terra, in quanto Belluno viene definita
città veneta, Feltre retica, mentre il municipio di Iulium Carnicum,
a cui apparteneva il territorio dei Catubrini, manifesta
anche nel nome il collegamento con il popolo dei Carni.
Tutti e tre i municipii, naturalmente, erano inclusi nella X
regione augustea, divenuta poi, in età dioclezianèa, la VIII
regio: la Venetia et Histria. |
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I confini fra Belluno e Cadore in
età romana sono ben evidenziati da iscrizioni confinarie nella zona del monte
Civetta: su tali iscrizioni, tra l’altro, ha scritto qualcosa su cui meditare
con attenzione il grande alpinista e sapiente Domenico Rudatis, in un libro, Liberazione,
che andrebbe avvicinato con intelletto d’amore.
Anche tra la Val di
Fiemme e la Valsugana è stata incisa nella roccia un’iscrizione che segnalava
il confine fra il territorio dei Tridentini e quello feltrino.
A questo riguardo
è infine da notare che le successive diocesi cristiane si sovrapposero in larga
parte ai municipii romani: la loro estensione, come è noto, ancor oggi
non coincide in alcuni casi (per esempio, nella Sinistra Piave, in Val Belluna)
con quella della provincia.
Un’ultima osservazione: la provincia di Belluno,
che, come è noto, è una conseguenza, non deprecabile e da molti punti di vista
ragionevole, dell’invasione napoleonica (allora si chiamava Dipartimento
della Piave) porta ancora nel suo stemma, costituito dagli emblemi di
Belluno, Feltre e Cadore, il ricordo dei municipii di Roma …
Il segno della Città Eterna sul nostro suolo è ancor oggi visibile anche
nella centuriazione, cioè nella suddivisione del territorio in cento
parti (centurie), ognuna delle quali era a sua volta suddivisa in
ulteriori lotti, che variavano da un minimo di 2 iugeri (corrispondente alla
centesima parte di una centuria) all’ager quadratuus (campo quadrato),
con un lato di circa 700 metri e che era pari a un quarto di centuria.
La
centuriazione era utilizzato nell’assegnazione di terre sia ai coloni romani
che agli originari abitatori del luogo e consentiva la messa a coltura di terre
precedentemente occupate da boschi o acquitrini o, comunque, sino a quel momento
non razionalmente organizzate dal punto di vista dello sfruttamento agricolo.
Un
sistema viario disposto sull’asse nord-sud (il cardo) ed est-ovest (il decumanus)
consentiva di accedere ai fondi.
La fitta maglia reticolare tipica della
centuriazione romana è ancor oggi riscontrabile nel caratteristico allineamento
di paesi, siepi, viottoli e campi nei dintorni a ovest di Belluno verso Sedico
(per es., l’allineamento Sois, Bes, Biòs, Carmegn) e a nord di Feltre.
Inoltre, i toponimi Centore a Limana e a Lentiai rimandano direttamente
alla organizzazione romana del territorio bellunese.
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